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Spegnerà quest’anno la candelina numero 28 l’Ariano Folk Festival, il progetto etno-culturale che da quasi trenta estati porta la cittadina del Tricolle al centro del mondo e un bel po’ di mondo in Irpinia.

Dal 15 al 18 agosto vivremo quattro giorni di eventi e incontri, ma soprattutto di musica, veicolo privilegiato del dialogo tra i popoli.

Per l’occasione ci siamo fatti raccontare da Francesco Fodarella, direttore artistico di questo ormai storico festival di world music, contenuti, emozioni e difficoltà dell’AFF che sta arrivando.

Manca poco all’inizio. È tutto pronto?

«Quest’anno sarà faticosissimo, per una questione di maturità, energie ed economia. Dal punto di vista istituzionale c’è proprio una “distrazione”, per non dire un abbandono, verso le attività culturali e artistiche. Sono già due anni che andiamo avanti senza alcuna forma di contributo pubblico. L’AFF è una manifestazione completamente autonoma, sostenuta dai biglietti d’ingresso e da qualche sponsor privato che si è fidelizzato al nostro marchio. Ciò ovviamente comporta il doverci porre dei limiti maggiori, senza mai tralasciare il nostro scopo: la ricerca musicale certosina, che viene fatta con grande anticipo. L’associazione organizzatrice, la Red Sox, ha fatto non pochi salti mortali e si è accollata diverse responsabilità affinché il festival si realizzasse in ogni caso e fosse all’altezza delle aspettative. Il nostro è un progetto nato per mera passione ma poi si è evoluto, e ha bisogno di professionalità per confrontarsi con le realtà con cui entra in contatto, ad esempio le agenzie internazionali».

Quest’anno il tema del festival è la Campania. In che modo viene sviluppato dal programma e come si intersecherà con gli ospiti internazionali?

«La nostra è da sempre una programmazione molto trasversale, che comprende molti generi sempre in dialogo con la cornice principale della world music. Dopo aver girato il mondo, quest’anno ci siamo voluti soffermare sul nostro territorio, quindi la Campania e le musiche regionali, ma sempre sotto varie sfumature: dall’house all’elettronica, dal soul fino alle sonorità più tradizionali. Rende bene l’idea la nostra grafica di quest’anno: un Pulcinella stilizzato, che simboleggia la tradizione riproposta attraverso diverse sfaccettature. Abbiamo voluto fortemente invitare dei nuovi artisti portatori di suoni freschi, dal respiro europeo, che ci fa piacere promuovere e supportare. Ad esempio Parbleu, Bassolino, Riva Starr – che ormai è un fenomeno mondiale – o The Officinalis, musicisti straordinari che propongono il repertorio napoletano in chiave rocksteady, reggae e ska. Chiudiamo l’ultimo giorno con un ensemble fantastico di musica tradizionale, Ars Nova Napoli, freschi di Womad (il più importante festival internazionale di wordl music, ndr) insieme a tanti altri ospiti. Innovazione, tradizione, forza ed energia è quello che trasmetteremo in questa edizione, anche attraverso gli stand gastronomici».

Si ritorna alle origini anche nella location, che sarà di nuovo la località di Piano della Croce…

«Però è stata una scelta subita, non voluta. Per via di alcuni lavori in corso in Piazza Enea Franza, la location che ci ha ospitato nell’ultimo decennio, siamo stati costretti a migrare là dove siamo nati. Contiamo, il prossimo anno, di rispostarci».

Quest’anno la diffusa mancanza di finanziamenti ha sacrificato, non solo in Irpinia, diverse manifestazioni anche di grandi dimensioni e che hanno sempre potuto contare su nomi di richiamo. Secondo lei perché l’AFF riesce comunque a resistere nonostante il momento sfavorevole?

«Non conosco la situazione strutturale di chi organizza le altre manifestazioni, ma posso dire che l’associazione del nostro festival si è sempre basata su un volontariato spassionato, puro. Siamo sempre stati consapevoli che i finanziamenti potevano non arrivare. La forte passione, l’attaccamento alle nostre radici, una grosse dose di incoscienza, ci hanno portato anche quest’anno ad osare oltremodo nelle nostre potenzialità, perché riteniamo che un festival come questo abbia una responsabilità nei confronti del territorio, soprattutto nei momenti di difficoltà. Paradossalmente, questo è il miglior periodo per rilanciare l’Irpinia. È necessario, invece, che le persone cambino visione. Combattiamo contro le strutture e gli artisti mainistream che catturano tutte le attenzioni, soprattutto quelle dei giovani, e creano carrozzoni che dopo pochi anni non hanno più energie. Noi da 28 anni promuoviamo un marchio, non la line-up».

Dunque è questo ciò che vi distingue e vi concede di continuare?

«Offrendo qualità abbiamo fidelizzato le persone alla nostra identità, più che al nome altisonante del momento. Così siamo diventati una garanzia: chi ci segue viene da noi a prescindere dal contenuto del programma. Questa è la nostra più grande responsabilità. Se avessimo puntato sempre e solo sugli head-liner famosi, nel tempo non saremmo stati in grado di andare avanti, sarebbe stato troppo oneroso. Mantenendoci su dei costi che preventiviamo con un anno di anticipo e che sono nelle nostre possibilità, preferiamo restare piccoli ma non sparire, pur di inseguire le mode a tutti i costi. Detto questo, ogni manifestazione che scompare è una perdita incalcolabile per il territorio, che sia una sagra o una rassegna. L’invito però, è sempre quello di lavorare sui palinsesti senza puntare solo sull’aspetto commerciale, ma costruendo un discorso di qualità, inclusione, dialogo, ricerca. La funzione delle manifestazioni è anche morale, non solo economica».

Perché secondo lei questo è il momento migliore per rilanciare l’Irpinia?

«C’è uno spazio vuoto da riempire, quello della cultura. Siamo contaminati da un discorso mediatico massificato che inquina al punto da perdere lucidità. Tutti vogliono fare un evento con il grande nome che attiri quantità enormi di gente. Invece bisogna partire dal basso facendo proposte coraggiose, costruendo un’iniziativa tassello per tassello e mettendola in condizioni di maturare gradualmente. Più del pubblico, è importante far crescere la propria identità e se si inseguono le tendenze senza una linea è impossibile. Questo modo di ragionare sarà anche un pensiero personale, ma ha fatto sì che dopo 28 anni l’AFF sia ancora qui dopo tutte le difficoltà che riguardano sia le economie che la burocrazia, il peggiore dei problemi di questa nazione».



 

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