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Il decreto legge 8 aprile 2020 n. 23 – c.d. Decreto liquidità – che reca, fra le altre, Misure urgenti in materia di accesso al credito per le imprese, era molto atteso: imprese ed autonomi con partita iva confidavano che tale provvedimento corrispondesse alla ampiezza e alla efficacia di intervento anticipate nella comunicazione mediatica dal Governo. Esso peraltro arriva meno di un mese dopo la pubblicazione del dl del 17 marzo 2020 n. 18, c.d. Cura Italia, del quale il nuovo decreto cancella alcune disposizioni fra le quali l’art. 49, che viene integralmente sostituito dall’art. 13 del nuovo decreto. Affronto a seguire alcuni elementi critici delle attuali previsioni normative, affiancando a essi delle proposte migliorative, qualora ce ne fossero i margini in sede di conversione.

  1. Inapplicabilità delle misure previste se non vi è l’di approvazione della Commissione Europea. Non è fuori luogo ricordare che l’efficacia delle norme del decreto liquidità è subordinata all’approvazione della Commissione Europea, ai sensi dell’articolo 108 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (cfr. art. 1 co. 9): è materia di confronto con gli altri partner e con le istituzioni Ue, ma non tranquillizza sulla immediata o rapida applicabilità delle nuove disposizioni, mancando a tutt’oggi provvedimenti da parte della Commissione Europea.
    Sebbene la garanzia sia stata prevista “a prima richiesta, esplicita e irrevocabile”, ciò non significa che automaticamente gli istituti di credito saranno in grado di erogare le somme richieste in maniera così ampia e rapida come sarebbe necessario. Infatti, in virtù dei limiti stabiliti dagli Accordi di Basilea sulla valutazione del merito creditizio (tutt’ora pienamente vigenti), non sarà semplice per le banche svolgere il ruolo, che il Governo italiano vorrebbe loro attribuire, di immediati erogatori di denaro in favore delle imprese in crisi di liquidità.
  1. Assenza di misure che evitino rischi di sovraindebitamento e insolvenza per imprese e autonomi. Un ulteriore elemento critico riguarda la ratio stessa alla base del D.L. 23/2020, qualora le misure che prevede fossero immediatamente e correttamente applicate.
    I 200 miliardi di euro stanziati dallo Stato a sostegno delle misure in questione sono tutti finalizzati alla concessione di garanzie in favore degli istituti di credito per il rilascio di finanziamenti, sotto qualsiasi forma, alle imprese con sede in Italia che abbiano subìto conseguenze economiche a causa dall’epidemia Covid-19. Ciò avverrà attraverso due soggetti: Sace s.p.a., al 100% di Cassa Depositi e Prestiti, e Fondo di garanzia per le PMI, istituito con la Legge n. 662/1996. Le garanzie previste potranno coprire fra il 70 ed il 100% del capitale erogato e dei relativi interessi e costi. I finanziamenti garantiti potranno avere, salvo eccezioni, durata non superiore a 6 anni e un periodo di preammortamento di 24 mesi. In gran parte dei casi, gli importi effettivamente erogabili non potranno comunque essere superiori al 25% dei ricavi del soggetto beneficiario. I tassi di interesse dovrebbero collocarsi tra l’1,2% e il 2,00% per i finanziamenti fino a 25.000,00 euro, mentre, per importi maggiori, non vi sono limiti prestabiliti.
    Tali caratteristiche fanno ragionevolmente prevedere, nella gran parte dei casi, l’insufficienza o addirittura il pregiudizio che tali misure potrebbero comportare per le imprese e per gli autonomi italiani che ne siano beneficiari. Da un lato, infatti, le somme che verranno erogate saranno troppo scarse per affrontare le reali esigenze economiche, soprattutto con riguardo alle micro e alle piccole imprese. Dall’altro i finanziamenti in questione nella grande maggioranza dei casi si sommerebbero ad altre situazioni debitorie, senza permettere una reale ristrutturazione dei debiti delle imprese in crisi di liquidità.
    In sintesi, la lentezza dei processi che porteranno all’effettiva erogazione del credito, unita alla esiguità del credito stesso e al fatto che esso si andrà solo ad aggiungere agli altri eventuali debiti d’impresa, comporterà – nell’attuale crisi di sistema – il collasso delle aziende più fragili per crisi da sovraindebitamento.
    Decisamente troppo esile, appare, in proposito, la previsione di un periodo di preammortamento relativamente lungo (24 mesi). Vi è tuttavia una misura, fra quelle previste dall’art. 13 del DL 23/2020, che, se adeguatamente potenziata e valorizzata, potrebbe permettere alle imprese di procedere a una generale e ampia ristrutturazione dei debiti.
  1. Proposte di rafforzamento della garanzia pubblica prevista dall’art. 13 D.L 23/2020. La garanzia pubblica concessa attraverso il Fondo di garanzia per le PMI (legge 662/1996), richiamata e ampliata dall’art. 13 del D.L. 23/2020, potrebbe costituire la base per una misura di sostegno di portata maggiore rispetto a quella attuale, attraverso meccanismi che permettano alle imprese non solo di ottenere l’erogazione di ulteriori finanziamenti ma anche, e soprattutto, di porsi in situazione di solvibilità delle proprie obbligazioni pecuniarie sul medio e lungo termine.
    Andrebbero pertanto agevolate operazioni finanziarie di ampio respiro – attraverso adeguate garanzie pubbliche, consistenti somme erogate, piani di ammortamento dilatati e tassi d’interesse non vessatori – per affrontare l’attuale crisi di liquidità tenendo conto sia delle debitorie passate che di quelle future. Funzionale a ciò potrebbe essere il potenziamento di quanto previsto dall’art. 13, comma 1, lett. e): tale norma prevede una copertura diretta nella misura dell’80% e del 90% in caso di riassicurazione sui finanziamenti a fronte di operazioni di rinegoziazione del debito del soggetto beneficiario, purché il nuovo finanziamento consenta l’erogazione al medesimo soggetto beneficiario di credito aggiuntivo in misura pari ad almeno il 10% dell’importo del debito già accordato ed oggetto di rinegoziazione.
    Questa misura, in sé valida, è del tutto inadeguata nell’attuale emergenza: per una reale ed efficace iniezione di liquidità nel sistema economico d’impresa vanno infatti immaginati specifici incentivi aggiuntivi, che provo a ipotizzare, in coerenza con l’attuale impianto normativo, in modo tale da costituirne l’eventuale sviluppo in sede di conversione del D.L. 23/2020. Lo Stato potrebbe impegnarsi a corrispondere, per tutte le tipologie di credito, un interesse tra lo 0,5% e l’1,00% (paragonabile all’attuale tasso dei mutui ipotecari), a banche, confidi e altri consorzi che eroghino alle imprese finanziamenti a tasso zero, possibilmente attraverso piani di ammortamento – come proposto da più associazioni di categoria imprenditoriali – molto dilatati (fra i 20 ed i 35 anni), che abbiano inizio non prima della metà del 2021. In tal modo banche e istituti di credito verrebbero adeguatamente incentivati e, nel contempo, le imprese otterrebbero credito a costo zero, da poter utilizzare per il consolidamento di tutte le tipologie di posizioni debitorie:
    • debiti vs. personale;
    • debiti vs. fornitori;
    • debiti vs. lo Stato e gli enti pubblici locali;
    • beni d’investimento;
    • spese di gestione correnti, e altro.

    In sintesi, le banche risulterebbero garantite riguardo ai rischi di recupero del capitale prestato, che verrebbe garantito al 90% dal Fondo di garanzia per le PMI, come già avviene in base all’art. 13 del D.L. 23/2020 o, in determinate ipotesi, al 100%, e inoltre si vedrebbero corrispondere gli interessi direttamente dalla Stato, a un tasso particolarmente basso, fra lo 0,5 e l’1%. Il sistema di incentivi e di garanzie che prospetto consentirebbe un’importante erogazione di liquidità, mirata ad aziende meritevoli, attraverso l’aiuto del settore bancario e del settore dei consorzi di categoria.
    Certamente tali misure non potrebbero essere a costo zero per le casse dello Stato; tuttavia, così congegnate, permetterebbero interventi mirati – la meritevolezza delle imprese sarebbe valutata da banche e consorzi -, dilazionati nel tempo e, tutto sommato, non gravosi, risultando potenzialmente di gran lunga maggiori i costi per via di interventi a pioggia o, peggio, a causa di insolvenza e chiusura di imprese potenzialmente vitali.
    Va aggiunto, al termine dell’emergenza, un sistema di crediti alle famiglie, finalizzato alla ripresa economica e alla creazione della domanda, attraverso finanziamenti pari al massimo ad €. 50.000,00, sempre a tassi molto ridotti 0,5% – 1,00%, vincolati al consolidamento dei debiti della famiglia (compresi quelli fiscali nazionali e locali) e all’acquisto di beni da effettuarsi al massimo entro dicembre 2021, anch’essi con piano d’ammortamento di 20/30 anni e supportati da apposite garanzie pubbliche. Tale ultima misura incoraggerebbe la domanda economica interna, con ricadute importanti per il tessuto economico generale.
    Qualcosa di simile esiste in Germania, dove la KfW-Schnellkredit, equivalente della nostra Cassa Depositi e Prestiti, fornisce una garanzia dello Stato al 100% con durata allungata a 10 anni. Dalla Germania, inoltre, andrebbe importato un programma di emergenza specificamente indirizzato alle micro PMI da 1 a 10 dipendenti, le quali vengono aiutate attraverso il così detto helicopter money del fondo Soforthilfe. Tale specifico programma di prestiti si è reso necessario perché le PMI hanno segnalato lentezza o scarsa disponibilità da parte delle banche a dare il via libera alle richieste di aiuto in finanziamenti agevolati.
    Per le microimprese a bassa capitalizzazione va infine previsto un programma di finanziamenti almeno in parte a fondo perduto.

  1. Valutare le imprese meritevoli di incentivi e garanzie statali. Alcuni limiti all’accesso ai benefici pubblici si rendono utili per la funzionalità del sistema per non gravare irresponsabilmente sul debito pubblico; per esempio che:
    • l’impresa richiedente fosse in bonis perlomeno alla data della dichiarazione d’emergenza del 31 gennaio 2020;
    • siano saldati i debiti alle dovute scadenze per almeno un quinquennio;
    • siano previste norme specifiche che, nel prossimo quinquennio, sanzionino le imprese colpevolmente inadempienti nei confronti di banche e fisco.
  1. Rafforzamento del Fondo Antiusura per le imprese in difficoltà. Per le imprese non rientranti fra quelle meritevoli della garanzia pubblica ai sensi dell’art 13 D.L. 23/2020, in quanto considerate “in sofferenza” o in difficoltà, ai sensi dell’art. 2, punto 18 del Regolamento UE n. 651/2014, si potrebbe rafforzare il “Fondo Antiusura”, istituito con la legge n. 108/1996, ben al di là di quanto sia previsto dall’art. 56 del D.L. 18/2020, previo il necessario consolidamento economico del Fondo, stanziando le somme sufficienti per la sua gestione durante la crisi. Andrebbe aggiunta, quale voce specifica fra quelle costituenti i criteri di valutazione della meritevolezza di accesso al fondo da parte delle imprese, l’emergenza COVID-19. Da ultimo – ma essenziale – va semplificato l’accesso al Fondo, poiché i tempi di approvazione della domanda di ammissione sono del tutto incompatibili con la conduzione di eccezionalità che viviamo, e potrebbero rendere inefficace la misura.

Avv. Antonio Manco

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