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I familiari delle giovani vittime non solo non avranno alcun risarcimento, avendo i loro cari assunto una “condotta incauta”, ma dovranno anche pagare le spese legali, quasi 14mila euro. Lo riporta il quotidiano abruzzese ‘Il Centro’.

La Corte d’Appello dell”Aquila ha respinto sette ricorsi delle parti civili, confermando la sentenza di primo grado risalente all’aprile 2022 riguardo il crollo dell’edificio in via Gabriele D’Annunzio 14, nel centro storico del capoluogo della Regione Abruzzo, dove ci furono 13 vittime. 

In sede penale, l’ingegnere unico imputato dei lavori di restauro del 2002 era stato assolto in via definitiva dalla Corte d’Appello di Perugia.    

Nel Civile il recente pronunciamento che ha ruotato in modo semplificativo sul giovane studente di Frosinone, Nicola Bianchi

In primo grado il giudice, Monica Croci, aveva riconosciuto addirittura il cento per cento di colpa alla vittima: Bianchi avrebbe saputo di vivere in un edificio poco sicuro e sarebbe comunque rimasto in casa per poter sostenere all’indomani l’esame

Un verdetto contro il quale la famiglia ha proposto appello tramite l’avvocato Alessandro Gamberini del Foro di Bologna.    

In secondo grado il collegio giudicante ha nuovamente respinto l’istanza, assieme a quella di altre sei parti, tutti studenti universitari che abitavano quello stabile insieme ad altri. Secondo l’interpretazione dei giudici, gli studenti universitari non sarebbero morti perché rassicurati e dunque indotti a rimanere nei loro alloggi dalla Protezione civile attraverso la Commissione Grandi Rischi, ma per una sorta di loro condotta incauta.   

La battaglia legale si sposta ora in Cassazione.

La Commissione Grandi Rischi si era riunita cinque giorni prima del tragico sisma

Secondo i giudici, le cause sono da ricercare nelle decisioni dei ragazzi assolvendo da ogni colpa, come in primo grado, la Commissione Grandi Rischi che si era riunita all’Aquila il 31 marzo del 2009, cinque giorni prima del tragico sisma, lanciando messaggi rassicuranti. Sulla vicenda il Tribunale dell’Aquila aveva prima condannato a sei anni i sette scienziati che avevano partecipato alla riunione, per poi assolverli in appello ad eccezione di Bernardo De Bernardinis, l’allora vicecapo della Protezione civile, la cui condanna a due anni è stata confermata anche in Cassazione.   

De Bernardinis, che aveva presieduto la riunione al posto dell’allora capo della Protezione civile nazionale, Guido Bertolaso, aveva inviato, subito dopo la riunione, messaggi rassicuranti che avrebbero indotto gli aquilani a non prendere le misure tradizionali, tra cui quella di uscire di casa dopo una scossa. 

Stando ai giudici di secondo grado non ci sarebbero prove certe delle rassicurazioni in relazione alla condotta dei giovani, pertanto mancherebbe il cosiddetto ‘nesso causale’ per attribuire responsabilità di natura civile. Significativo, in tal senso, quello che i magistrati scrivono a proposito di Nicola Bianchi (il padre Sergio da anni si batte per avere giustizia, ndr). “Ad analoga conclusione – si legge nella sentenza – deve pervenirsi quanto a Nicola Bianchi in quanto, al di là del fatto che non v’è prova della fonte della conoscenza della riunione del 31 marzo e della motivazione della rassicurazione tratta – sicché non v’è alcun elemento che la colleghi proprio alle dichiarazioni del De Bernardinis – gli stessi appellanti non contestano che, stando alle sommarie informazioni testimoniali dei genitori, il ragazzo decise direstare all’Aquila poiché aveva un esame il giorno 8 aprile e la notte del sisma, dopo la scossa delle ore 22.48, uscì in strada, circostanze che contrastano con la tesi che egli avesse così agito sentendosi tranquillizzato sulla base delle dichiarazioni del De Bernardinis e ormai non ritenendo più pericolose le scosse“.   

Quindi i ragazzi non sarebbero stati condizionati e quindi rassicurati dalle risultanze dei comportamenti dei componenti della Commissione Grandi Rischi presenti all’Aquila cinque giorni prima del sisma, il 31 marzo 2009, e nemmeno dalle dichiarazioni in tv di De Bernardinis e, alla stampa, dall’allora sindaco, Massimo Cialente.   

Per i giudici, infine, “in linea generale, il compendio probatorio acquisito (convocazione della riunione, verbali della stessa, deposizioni testimoniali), al di là del convincimento del capo del Dipartimento di Protezione civile emerso nel corso della conversazione casualmente intercettata tra lo stesso(Bertolaso) e l’assessore regionale (Stati) ha smentito o, comunque, non ha dato conferma della tesi che gli esperti partecipanti alla riunione del 31 marzo – ad esclusione del De Bernardinis, vice di Bertolaso, il quale, peraltro, alla stessa non diede alcun contributo scientifico – avessero, a priori, l’obiettivo di tranquillizzare la popolazione e, quindi, di contraddire o minimizzare quanto desumibile dai dati oggetto della loro valutazione scientifica. Tesi che le parti appellanti ripropongono in termini meramente assertivi senza misurarsi con le risultanze istruttorie“.

 

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