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Tutti noi abbiamo un conto corrente, ma siamo consapevoli di quanto ci costa esattamente? Ecco cosa considerare tra i costi, anche in funzione dell’uso che ne facciamo (scopri le ultime notizie su bonus, Rdc e assegno unico, su Invalidità e Legge 104, sui mutui, sul fisco, sulle offerte di lavoro e i concorsi attivi. Leggile gratis su WhatsApp, Telegram e Facebook).

Quanto costa il conto corrente?

Per determinare se il tuo conto corrente è conveniente, è utile esaminare l’indagine annuale della Banca d’Italia sui costi dei conti correnti. Questo documento offre un confronto dei costi medi che puoi confrontare con quelli riportati nel “Riepilogo delle spese” che la tua banca deve inviarti almeno una volta all’anno.

Nel 2022, il costo medio di un conto corrente tradizionale in Italia era di circa 104 euro, un aumento rispetto all’anno precedente e il settimo incremento consecutivo. Tuttavia, questa media nasconde differenze significative tra i vari tipi di conto, con costi che vanno da poco più di 10 euro a oltre 190 euro all’anno.

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Quanto costa il conto corrente? Spese fisse e spese variabili

Le spese del conto corrente si dividono in due categorie principali: fisse e variabili. Le spese fisse, che rappresentano circa due terzi del totale annuo (66,9 euro secondo l’ultima indagine della Banca d’Italia), comprendono costi come il canone annuale e servizi aggiuntivi inclusi. È quindi cruciale scegliere un conto che copra le tue esigenze effettive nel canone fisso.

Le spese variabili dipendono dal numero di operazioni effettuate, come prelievi o bonifici, e costituiscono in media circa un terzo del totale (31,1 euro l’anno). Per chi effettua molte operazioni, un “conto a pacchetto” con un numero fisso di operazioni incluse potrebbe essere vantaggioso, evitando costi elevati per ogni operazione aggiuntiva.

Un altro fattore importante è la modalità di utilizzo del conto. I conti correnti online hanno un costo medio di circa 33 euro, molto inferiore a quelli tradizionali. Tuttavia, questi risparmi si realizzano solo se si è disposti a gestire autonomamente tutte le operazioni tramite home banking, poiché le operazioni agli sportelli possono risultare molto costose.

L’Indicatore dei Costi Complessivi (ICC) può aiutarti a valutare se stai pagando troppo. Le banche devono comunicare ai clienti il costo indicativo per diversi profili di utilizzo, come giovani, famiglie o pensionati, permettendoti di confrontare il tuo profilo con le offerte medie di mercato.

Se il “Riepilogo delle spese” della tua banca mostra costi significativamente più alti rispetto ai dati medi dell’indagine della Banca d’Italia o ai profili ICC, potresti risparmiare cercando alternative presso altri intermediari. Cambiare conto è gratuito e semplice grazie al diritto alla portabilità del conto, che consente il trasferimento dei servizi di pagamento e dei fondi in non più di 12 giorni lavorativi. Inoltre, sarebbe importante considerare anche i tassi, ma questo è un aspetto più tecnico.

Per chi necessita solo di operazioni di base, come bonifici e accrediti di stipendio o pensione, il conto di base è una valida opzione. Questo tipo di conto, offerto da tutti gli intermediari, è gratuito per i consumatori con ISEE inferiore a 11.600 euro e per i pensionati con reddito lordo annuo inferiore a 18.000 euro.

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Costo del conto corrente. In foto: calcolatrice e calcoli.

FAQ: domande frequenti su conto corrente e pignoramento

Si può cambiare conto corrente?

Sì, puoi cambiare conto corrente in qualsiasi momento aprendone uno nuovo e facendo richiesta di chiudere il tuo conto attuale (spostando i fondi).

Il conto corrente online costa meno?

Mediamente sì, ben 24 euro in meno rispetto ai conti correnti tradizionali: si parla di 70 euro anziché 94.

Il conto corrente online è sicuro?

Sì, le banche che offrono questo tipo di conto devono comunque rispettare tutti i criteri di sicurezza e trattamento dei dati personali.

Quando scatta il pignoramento per debiti fiscali?

Il pignoramento per debiti fiscali si attiva dopo un processo che inizia con la segnalazione dell’inadempimento da parte dell’Agenzia delle Entrate Riscossione. Nonostante non vi sia una tempistica fissa, la legge prevede specifici lassi di tempo prima che si possa procedere con l’azione esecutiva. Importante è notare che, prima di giungere al pignoramento, il contribuente può ricevere vari solleciti e l’intero processo può estendersi per un periodo considerevole, talvolta anche anni, a seconda delle circostanze specifiche e delle procedure adottate.

Quanto tempo dopo l’avviso di accertamento arriva il pignoramento?

Dopo l’emissione di un avviso di accertamento esecutivo, il contribuente ha 60 giorni di tempo per effettuare il pagamento o presentare un ricorso. Qualora queste azioni non vengano intraprese, segue un periodo di circa 6 mesi (180 giorni) dopo il quale l’Agenzia Entrate Riscossione può iniziare a identificare i beni su cui procedere con il pignoramento. Considerando questi intervalli e possibili ulteriori dilazioni, il pignoramento può avvenire non prima di un anno dall’avviso di accertamento, a volte anche più tempo.

Quali sono le due procedure di pignoramento dell’Agenzia delle Entrate?

Le due procedure principali di pignoramento adottate dall’Agenzia delle Entrate sono:

  1. La procedura che segue l’emissione di una cartella esattoriale, utilizzata in caso di mancato pagamento di debiti fiscali.
  2. La procedura che si avvia in seguito all’emissione di un avviso di accertamento esecutivo, ormai l’approccio più frequente, applicabile anche in presenza di tributi minori.

Cosa accade dopo i 60 giorni dall’avviso di accertamento esecutivo?

Se nei 60 giorni successivi all’emissione dell’avviso di accertamento esecutivo non avviene il pagamento o non viene presentato un ricorso, l’accertamento diventa esecutivo. Ciò significa che il contribuente perde la possibilità di contestare il debito. Dopo 30 giorni dalla scadenza di questo termine, inizia il conteggio di un periodo di sospensione di 180 giorni, dopodiché l’Agenzia Entrate Riscossione può procedere con il pignoramento dei beni.

Quanto tempo si ha per pagare o rateizzare dopo una cartella esattoriale?

Ricevuta una cartella esattoriale, il contribuente dispone di 60 giorni per saldare il debito o per richiedere una dilazione del pagamento (rateizzazione). Scaduto questo termine senza che il debito sia stato regolato o non sia stata accordata una dilazione, l’agenzia può procedere con il pignoramento dei beni del contribuente.

Qual è il termine di prescrizione per le imposte sui redditi e l’IVA?

I termini di prescrizione per le imposte sui redditi (Irpef, Ires, Irap) e per l’IVA sono entrambi di 10 anni. Questo significa che, decorsi 10 anni dall’ultimo sollecito di pagamento senza che l’agenzia abbia intrapreso azioni di recupero, il debito si estingue e non può più essere oggetto di pignoramento o altre azioni esecutive.

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