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“Non dobbiamo arrenderci all’idea che il centro storico di Roma perda ogni identità, sacrificato sull’altare della turistificazione. Abbiamo gli strumenti per impedirlo, invertendo la tendenza senza demonizzare un settore come quello delle case vacanza”. A dirlo è Giovanni Caudo, classe 1964, consigliere di Roma Futura con un passato da assessore all’Urbanistica ai tempi di Ignazio Marino e da presidente di municipio a Montesacro. 

Intervistato da RomaToday, l’ordinario di Progettazione Urbanistica a Roma Tre affronta alcuni dei temi chiave che riguardano la Capitale in questi mesi: l’aggiornamento della Carta della Qualità, le nuove norme tecniche di attuazione del Piano Regolatore, la riqualificazione delle periferie, ma anche la sfida degli investimenti europei, che segue da vicino in qualità di presidente della commissione speciale Pnrr. Il suo viaggio nella trasformazione della città parte da un capitolo antico, tornato attuale dopo il faro acceso dall’Anticorruzione e di cui RomaToday ha scritto di recente: il recupero delle periferie ex abusive. 

Professore, dieci anni fa da assessore iniziò una “battaglia” per regolamentare l’attività delle Associazioni Consortili per il Recupero Urbano. Ci spiega perché?

“A quel tempo ci arrivarono forti lamentele, soprattutto dai presidenti di municipio, che non riuscivano ad avere fondi da utilizzare nella realizzazione di opere urbanistiche nelle periferie. Mentre, invece, c’erano tantissimi soldi fermi nei conti correnti intestati alle associazioni consortili. Fermi e inutilizzabili perché, oltre a problematiche interne ai Consorzi, mancavano anche i progetti delle opere. A quel tempo abbiamo lavorato insieme al dipartimento periferie, che dipendeva dall’allora assessore Paolo Masini, per verificare come stessero le cose veramente. Io arrivai dunque alla conclusione che non si poteva lavorare al di fuori delle norme del codice degli appalti. Bisognava fare gare ad evidenza pubblica. Bisognava riportare tutto all’interno del codice degli appalti. Il meccanismo tollerato per anni non andava più bene, non si potevano gestire in quella maniera soldi pubblici”. 

Che dimensioni ha a Roma il fenomeno dell’abusivismo?

“Enormi. Basti pensare che negli anni sono state costruite circa 900mila stanze fuori dal Piano Regolatore. Quindi, se consideriamo una persona per ogni stanza, abbiamo 900mila romane e romani che vivono in aree nate abusivamente. Questo perché in 40 anni, tra il 1931 e il 1971, Roma è cresciuta in maniera veloce e spropositata, triplicando gli abitanti. E fino al 1978 questo fenomeno veniva ignorato coscientemente. Poi, grazie alla legge regionale sulla perimetrazione, è uscito allo scoperto mettendo in moto un meccanismo volto al recupero di questi quartieri, dove bisognava portare i servizi essenziali. Oggi il Comune sta riuscendo a sbloccare milioni di euro per tanti anni fermi, prendendosi carico delle opere. D’altronde, come è stato per me al tempo, la stella polare è quella di realizzare le opere a favore dei cittadini, nient’altro”. 

L’assemblea capitolina prossimamente dovrà approvare le norme tecniche di attuazione del Piano Regolatore. Uno dei temi centrali è come verranno utilizzate per intervenire nel centro storico, snaturato dal fiorire di b&b e case vacanza, sempre più spopolato.

“Non bisogna dare per perso il centro storico, sacrificato sull’altare della turistificazione. Parliamo di un’area grande quasi come Milano: possiamo pensare di svuotare una fetta di città così importante? No. Anche perché il Covid ci ha insegnato che il turismo e la ristorazione non possono essere le uniche fonti di reddito per determinate zone, che senza i turisti hanno vissuto mesi drammatici. Mentre a Montesacro le botteghe e i ristoranti restavano aperti, al centro c’era il deserto e chi ha investito nel settore del ‘food&beverage’ è finito in ginocchio. Il trend va in questa direzione, lo dicono anche i numeri: poco più di 110mila abitanti al centro, su 2 milioni e 800mila residenti a Roma. Ma ho messo sul tavolo una soluzione, ampiamente condivisa”. 

Quale sarebbe?

“Bisogna rendere più conveniente la residenza. Le norme tecniche prevedono che si paghi al Comune un contributo straordinario quando si chiede il cambio di destinazione d’uso, per esempio da direzionale a commerciale o residenziale. Bene, per questo secondo caso io propongo di esentare i richiedenti dal pagare questo contributo, rendendo la trasformazione maggiormente conveniente. Al contrario, se si trasforma un ufficio in una casa vacanze, si paga. Su questo tema c’è un sostanziale accordo con il Pd, uno di quelli che più ha fornito appoggio è Yuri Trombetti, presidente della commissione patrimonio”. 

Ma se si rinuncia al contributo, vengono meno introiti per il Comune.

“C’è l’interesse pubblico a ripopolare il centro storico. Ulteriormente rafforzato dalla possibilità di riservare una quota, pari al 20%, all’edilizia a costo convenzionato. In questo modo si consente il ritorno di fasce sociali, l’ex ceto medio, che altrimenti non potrebbero sostenere i valori immobiliari di determinati quartieri. In questo modo si governa la trasformazione, non la si subisce”. 

Per invertire la tendenza di spopolamento del centro storico dobbiamo rendere più conveniente la residenza rispetto agli affitti brevi. Roma rinuncia a un introito, ma lo fa in nome di un interesse pubblico.

Stiamo parlando di social housing?

“Sì, anche se non andrebbe più chiamato in questo modo. Le norme tecniche prevedono una novità, cioè l’introduzione dell’edilizia residenziale sociale al cui interno si codificano varie articolazioni dell’edilizia, da quella popolare a quella a canone concordato. C’è però un doppio problema. La Regione, con il Piano Casa, chiede ai privati che demoliscono e ricostruiscono di riservare un 20% di superficie urbana lorda ad alloggi sociali. Però questi alloggi sono completamente in mano ai privati. Non solo: gli viene permesso di ricostruire da una parte e fare gli alloggi sociali da un’altra. E quasi mai l’alternativa è in un quartiere centrale o semi-centrale. Noi come amministrazione possiamo gestire questo processo, come successo a via Guido Reni al Flaminio dove l’intervento urbanistico nelle ex caserme prevede l’obbligo di una quota sociale dentro l’area, non chissà dove”.

Piano regolatore, così il Pd vuole provare a frenare gli affittacamere per ripopolare il centro storico

Tornando agli affitti brevi: a Barcellona dal 2028 verranno vietati. E’ un modello da seguire?

“Non bisogna demonizzare questo settore economico. Ci sono quartieri periferici, per esempio Romanina, dove stanno nascendo sempre più case vacanza e i turisti ci vanno. Così le famiglie che vivono in periferia riescono ad avere una seconda entrata e determinate aree della città vengono conosciute anche all’estero. Quello che dobbiamo fare e che possiamo fare è intervenire con forti limitazioni in quartieri come Monti, dove il 95% degli appartamenti ormai sono case vacanza”. 

Sulle norme tecniche di attuazione ci sembra di capire che la maggioranza viaggi abbastanza unita. Mentre sul futuro di aree come l’ex Snia Viscosa, il pratone di Torre Spaccata e quello di via Teulada c’è più spaccatura. Qual è la sua posizione?

“Bisogna essere molto chiari e dire come stanno le cose. Noi stiamo facendo un adeguamento delle norme, possiamo migliorare alcuni aspetti e sistemare errori, ma non stiamo scrivendo un nuovo piano regolatore. Fare delle scelte riguardo le previsioni urbanistiche attiene a una fase diversa, in cui auspicabilmente si ripensa la città che è diversa da quella che era quando si pensò al PRG. Ma non siamo in questa fase ancora. Dopodiché, secondo me bisogna per forza realizzare quelle previsioni? No, affatto. Ci sono tanti strumenti per tutelare questi luoghi, in attesa che si arrivi alla fase di riscrittura delle regole di sviluppo. Quando qualcuno dice ‘cancelliamo le previsioni urbanistiche a Torre Spaccata’, deve sapere che ci si arriva in due modi: o tramite un accordo col privato, che però non porti a compensazioni altrove, oppure si azzera d’imperio la cubatura, sapendo che poi si finisce in tribunale. L’abolizione delle previsioni richieste dalla cittadinanza non può diventare una delibera votabile in aula, ma l’istanza di tutela dev’essere applicata dalla politica. Per esempio a Cinecittà è servito per tornare indietro sulle decisioni precedenti. Penso anche ad Acilia-Madonnetta, dove sono previste cubature in un’area che si trova sotto il livello del mare: difficile pensare di costruire lì”. 

Non è affatto banale cancellare le previsioni urbanistiche, chi lo chiede deve sapere che una delle conseguenze è finire in tribunale

In tutto ciò, il Comune mesi fa ha aperto un bando sulle compensazioni. Ha cioè chiesto ai costruttori dove vorrebbero collocare i diritti edificatori ancora pendenti, per poter lasciare libere altre aree da trasformare in luoghi pubblici, parchi e aree verdi attrezzate. Che ne pensa?

“Il meccanismo delle compensazioni a mio parere va azzerato, dev’essere un capitolo da chiudere. Capisco che sia rivoluzionario dirlo a Roma, città in cui si pensa che con le compensazioni fai i parchi. Io penso invece che le compensazioni debbano essere azzerate. È ovvio che se io ho un’area verde di proprietà di un privato e voglio portarci un servizio per la collettività, devo acquisire l’area. Ma chiaramente l’amministrazione non ha i soldi per farlo. Quindi la modalità è l’acquisizione compensativa: il 90% dell’area me lo faccio cedere a costo zero, il 10% lo tiene il privato al quale do il permesso di realizzare alcune funzioni, anche andando oltre il previsto, ma non troppo. Non limitiamoci al chiosco ristorante, pensiamo a residenze per anziani e studentati, per me è un discorso di buon senso. Al privato diamo qualcosa in più, però sempre nel perimetro delle destinazioni da piano regolatore. Invece fino ad oggi a Roma si è proceduto dicendo al costruttore: non voglio che fai case lì, ti compenso e quel milione di metri cubi resta per aria e prima o poi ti dico dove farli. Il problema è che andando avanti così, si è arrivati ad un punto per il quale non si ha reale contezza di quanti siano i milioni di metri cubi ancora previsti a Roma”.

L’assessore Veloccia ribadisce spesso che a Roma non si consumerà più suolo. E’ così?

“Sì, è giusto che dica così, prendendo in considerazione il perimetro delle previsioni urbanistiche da Piano Regolatore vigente. I cittadini, com’è giusto che sia, questa cosa non la concepiscono: vedono un prato, se il giorno dopo arrivano la gru e le ruspe per tirare su un palazzo, per loro è consumo di suolo. In realtà sono previsioni da applicare. Ci sono milioni di metri cubi ancora previsti”. 

Abbiamo parlato molto di centro storico, un po’ di periferie ex abusive. Al di là degli interventi a Tor Bella Monaca, Corviale, Primavalle, come può Roma far sì che si investa anche nei quartieri meno “appetibili”?

“Nel 2008 il PRG prevedeva i cosiddetti Print, i piani di recupero. Uno strumento eccezionale, ma non ce n’è uno che sia stato realizzato in questi anni. Bisogna dare un incentivo a chi vuole mettere mano in queste periferie, rendere conveniente le operazioni di trasformazione e di completamento dei lotti ancora vuoti, anche per ricucire territori oggi ancora slabbrati e interrotti. Lo si fa con la semplificazione e rendendo protagonisti i municipi. E poi incentivare la demolizione e la ricostruzione”. 

Finiamo con il Pnrr, dato il suo ruolo di presidente di commissione. A che punto è la tabella di marcia della Capitale?

“Si pensava che non saremmo stati in grado nemmeno di far partire le gare, invece stiamo seguendo i ritmi stabiliti, rispettando le scadenze. C’è ottimismo riguardo alla possibilità di documentare entro dicembre 2024 il 30% di spesa sui piani urbani integrati. Ad agosto 2023 il Governo voleva levare dei fondi su questi piani, ma Gualtieri ha tirato dritto forte del fatto che le opere fossero già state assegnate alle imprese, non si poteva tornare indietro. E infatti a dicembre scorso molti enti locali sono stati definanziati, noi no. Però esiste un punto critico, che tengo a sottolineare”. 

Prego, quale?

“Stiamo ristrutturando 21 biblioteche con i fondi Pnrr, creiamo nove nuovi poli civici, costruiamo scuole e mense. Ma dopo, rischiamo di non avere il personale che apra la porta per far accedere l’utenza. Il rischio forte è di lasciare desertificati i territori dove abbiamo investito. Sarebbe una sconfitta atroce. Questo dipende solo in parte dall’amministrazione comunale: è il Governo che deve garantire risorse. E chi dice che si possono tagliare fondi agli enti locali che hanno avuto più risorse Pnrr, dice una grossa baggianata: i fondi europei sono di norma aggiuntivi a quelli statali. A Roma servono dipendenti, servono le educatrici, oppure le scuole resteranno chiuse. E a quel punto come li restituiamo i 122 miliardi di euro (a livello nazionale, ndr) avuto dall’UE? Una soluzione su cui lavorerò come commissione è programmare ciò che succederà da luglio 2026 in poi, aprendo agli enti del terzo settore per far sì che prendano in gestione gli spazi pubblici ristrutturati”. 

Corriamo il rischio di costruire poli civici e scuole che resteranno vuoti perché Roma non ha abbastanza personale. Il Governo deve fornire queste risorse e non minacciare tagli, che non hanno ragione di esistere

DOSSIER – Vi porto a Tor Pagnotta 2, l’eterno quartiere cantiere di Roma

 

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