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Che cos’è il Mes

Il Meccanismo europeo di stabilità (European Stability Mechanism) è un organismo nato nel 2012 con la funzione di prestare assistenza agli Stati in difficoltà finanziaria. Anche per questo in passato si è utilizzato il termine “Fondo Salva Stati”. A partire dal 2017 si è iniziato a discutere di una possibile revisione del trattato istitutivo. La discussione si è conclusa il 27 gennaio 2021 con la firma da parte di tutti e i membri dell’area Euro. Tutti i Paesi hanno completato la ratifica a eccezione dell’Italia, che ha detto no.

Quanti soldi ha versato l’Italia per il Mes?

L’Italia è il terzo contributore europeo. Il Mes ha un capitale sottoscritto pari a 708,49 miliardi, di cui il 17,64% garantito dall’Italia (circa 125 miliardi) e ha versato fino ad ora 14,2 miliardi.

Quali sono i punti più importanti della revisione del trattato

Una delle novità principali della riforma prevede che il Mes possa sostenere il Fondo di Risoluzione Unico (Single Resoltion Fund – SRF), un paracadute per le banche europee in difficoltà alimentato dalle stesse banche, non dagli Stati. Di fronte a una crisi particolarmente grave, un istituto può chiedere un intervento del Fondo che – in caso di via libera alla riforma – avrebbe potuto in caso di necessità chiedere a sua volta quello del Mes: avrebbe quindi svolto un ruolo di backstop, cioè paracadute, del fondo stesso. Il Fondo è andato via via costituendosi nell’arco di 8 anni, a partire dal 2016, alimentandosi in via transitoria – proprio in attesa dell’entrata in vigore del Mes emendato – anche dei contributi pubblici sotto forma di linee di credito.

Il salvataggio degli Stati

Il Mes alle sue origini è nato come “sportello” di salvataggio per gli Stati: se un Paese si trova in difficoltà a finanziarsi sul mercato, il Mes interviene prestando denaro. Nel corso della sua storia il Fondo ha prestato assistenza a Cipro, Grecia e Spagna.

La riforma cambia anche il meccanismo “Salva Stati”?

Il Mes alle sue origini è nato come “sportello” di salvataggio per gli Stati. Laddove un Paese si fosse trovato in difficoltà a finanziarsi sul mercato, il Mes poteva intervenire in suo soccorso prestando denaro. Nel corso della sua storia il Fondo ha prestato assistenza a Cipro, Grecia e Spagna. La riforma modifica anche le modalità di intervento nei confronti dei Paesi in difficoltà attraverso la due “linee” di azione esistenti. La prima (Precautionary Conditioned Credit Line, PCCL), è destinata ai Paesi con le finanze pubbliche in ordine, sottoposti a shock temporanei, a cui viene richiesta la presentazione di una lettera di intenti in cui il Paese si impegna a continuare a soddisfare i requisiti fissati dal trattato.

La seconda viene invece definita “di emergenza” (Enhanced Conditions Credit Line, ECCL). A questi Paesi viene chiesta la firma di Memorandum of Understanding in cui si fissano precisi impegni calibrati sull’entità del finanziamento. Nel dettaglio, il Consiglio dei governatori dovrebbe incaricare il direttore generale del Mes e la Commissione europea, insieme alla BCE, di negoziare con il membro interessato un protocollo d’intesa in cui vengono definite le condizioni da rispettare.

Inoltre la riforma del trattato prevede l’introduzione, per i nuovi titoli di Stato in emissione a partire dal 1° gennaio 2022, di clausole di azione collettiva a maggioranza unica. Si tratta di uno strumento che consente a una maggioranza qualificata di creditori di chiedere la ristrutturazione del debito. In altre parole, con la modifica di queste clausole, l’operazione di ristrutturazione del debito di un Paese viene semplificata.

Che cosa succede adesso?

La conseguenza immediata del no italiano è che la riforma non entra in vigore. Quindi restano in vigore le regole esistenti fino ad oggi. Le banche dei Paesi non potranno quindi beneficiare del backstop del Fondo di risoluzione unica.

Perché è stata fissata la fine del 2023 come termine per ratificare la riforma?

Perché a fine dicembre 2023 scade il periodo transitorio di otto anni fissato per la costituzione della dotazione del Fondo di Risoluzione Unico, durante il quale il Fondo è stato anche sostenuto attraverso linee dei credito dei Paesi stessi. Con la bocciatura italiana il Fondo di risoluzione si trova senza più il sostegno di sicurezza degli Stati e senza la massiccia copertura del Mes. Lasciando le banche europee, in caso di una prossima crisi, molto più vulnerabili.

 

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