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di Vito Schepisi


L’Europa è una Comunità di diversi.
S’intende “di diversi” per Storia, per la variegata tipicità dei Territori, per le tradizioni culturali e per le scelte del passato.
Non diversi, però, per il processo dialettico della Storia, per cultura, per valori etici, per scelte istituzionali e per la consolidata scelta laica e plurale degli Stati.
Non diversi per gli obiettivi e per la volontà d’essere elemento d’equilibrio per i contributi che si possono dare nelle attività democratiche, commerciali e di mediazione strategica per lo sviluppo e la pacificazione di aree importanti, come quelle del Medio Oriente e quelle dei paesi dell’Est europeo, ancora coinvolti in conflitti, con un tragico e inaccettabile contributo di perdite di vite umane, di feriti e di distruzioni.
Dalla diversificazione e dai mutamenti dei recenti consensi elettorali europei si può affermare con soddisfazione che in Europa si sia ben radicata la scelta liberal-democratica, l’articolato approccio moderato, laico e riformista alle questioni, senza eccessi e senza mortificare gli altri valori e le altre ispirazioni, anzi cercando il dialogo ed il confronto, perché l’Europa del terzo millennio sia un corpo unito con diverse funzioni.
Una scelta, insomma, aperta al dialogo e all’inclusione, senza egemonie e senza sudditanze.
Certo anche in Europa, come nel resto del mondo, i conti si fanno coi numeri, ma le soluzioni, senza violenze, s’ottengono solo con l’insieme delle idee e delle scelte.
Con questo spirito il corpo elettorale europeo, in questa tornata elettorale, ha espresso delusione per il passato e volontà di cambiamento.
Ciò che è emerso è l’espressione di chi ha giudicato inappropriati e improponibili, se non dirigistici ed autoritari, gli assi portanti incentrati sulle logiche dei paesi più forti.
I popoli europei hanno denunciato la propria insoddisfazione per essersi sentiti esclusi e non partecipi, senza che i bisogni d’una società articolata tra diritti e doveri, tra lavoro e servizi, abbia soddisfatto i bisogni sociali dei popoli di sentirsi inclusi e partecipi.
La soddisfazione mediata delle popolazioni, però, è il vero obiettivo della politica, al contrario di quello delle chiacchiere e delle illusioni, obiettivo quest’ultimo del populismo dell’antipolitica, apparso, invece, sconfitto e ridimensionato e pertanto perdente.
Gli elettori europei li hanno puniti dopo aver smascherato la loro confusione ideologica e le loro contraddizioni.
L’Europa non è una monade che nasce dal nulla.
Proviene dall’esperienza di stati e culture diverse che hanno esportato civiltà nel mondo, impregnandolo di ideali e valori.
L’approccio pluralista, liberale, democratico, moderato e riformista è solido coi suoi concetti semplici e chiari, concetti che si rivelano persino essenziali, pur nella loro sinteticità.
Girarci attorno per metterci il “ma” sarebbe persino incomprensibile.
L’Europa deve riequilibrare la sua rotta e ci sono argomenti e scelte che devono essere riconsiderate e rese compatibili con le esigenze, le economie e la stabilità degli stati.
Ci sarebbero criticità che andrebbero rimosse, si pensi al programma dei massicci interventi sul patrimonio immobiliare, si pensi alle quote produttive ed a tutti i limiti posti per al produzione agricola (persino riduzione dell’estensione dei terreni coltivati), si pensi alla concorrenza sleale che è mortificante per l’impegno nel preservare la tradizionale qualità garantita dai produttori.
Si pensi, ancora, alle massicce importazioni di materie prime, senza controlli di qualità.
La richiesta degli elettori europei è per un equilibrio nella rotta.
Non prenderne atto diverrebbe … poco virtuoso, se non diabolico!
Bisogna pensare che l’alternativa all’Europa dei burocrati, delle banche e delle finanza, delle multinazionali e delle lobbies climatiche ed ecologiste che spingono a spendere migliaia di miliardi senza un report attendibile di risultanza strategica – ed il tutto mentre in Europa ci sono le emergenze della disoccupazione, degli inarrestabili flussi migratori, delle criticità dei servizi (come in Italia), dell’inflazione, con la preoccupazione della sussistenza per i cittadini più deboli – non può essere un inevitabile crollo d’un sogno di democrazia e di libertà nell’area del Mediterraneo.
È per queste ragioni, per senso di responsabilità, che pensare ad operazioni ‘ad excludendum’ sarebbe un grave colpo inferto a quell’Europa libera, democratica, inclusiva, pacifica, competitiva, sicura e colta che abbiamo sempre sognato.
Il tempo per fare il salto di qualità è arrivato.
Tra cinque anni, senza i dovuti cambiamenti, infatti, potrebbe essere tutto più difficile.
Si deve partire da subito col buonsenso di tutti.
Ci sono questioni complesse che andrebbero chiarite, perché negli anni trascorsi s’è avuta la sensazione che ci sia stato chi si sottraeva agli impegni e che s’adoperava a caricarne gli effetti più sensibili solo sugli altri, mentre erano di converso sempre in prima fila per ritagliarsi gli spazi funzionali ai loro interessi.
L’Europa dei primi della classe e dei furbi manipolatori, è stata bocciata.
È tempo di un’Europa in cui ci sia equità nel distribuire oneri ed onori.
È tempo di un’Europa in cui i principi della distribuzione delle risorse e dei doveri sociali sia equo, senza condizionamenti e senza ricatti.

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