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Con una recente Ordinanza, la Corte di Cassazione torna a parlare del Bonus Prima Casa in riferimento al concetto di residenza familiare. Viene chiarito che non sempre i diritti di un soggetto coniugato si estendono, per forza di legge, a favore dell’altro coniuge.

Difatti, esistono dei casi in cui il concetto di residenza familiare viene messo in secondo piano, e ogni coniuge viene considerato singolarmente sulla base dei diritti che ricopre e dei requisiti che possiede.

Tutto ciò vale, ad esempio, quando due coniugi – sposati con il regime della separazione dei beni – acquistano un immobile che intendono adibire a residenza familiare beneficiando del Bonus Prima Casa.

In questi casi, a prescindere dall’effettiva situazione familiare, è obbligatorio che entrambi i coniugi rispettino tutti i requisiti per accedere all’incentivo, in quanto l’acquisto dell’immobile si considera fatto in maniera “egoistica” o “individualistica”.

Approfondiamo di seguito.

Leggi anche: “Bonus Prima Casa: se coniuge ne fruisce, anche l’altro è beneficiario

Prima Casa: membro trasgressore, la decadenza è per tutti?

La vicenda in questione riguarda l’acquisto di una Prima Casa avvenuto in ambito familiare. In particolare, l’immobile vede titolari del diritto di abitazione due coniugi nella misura del 50% ciascuno, mentre i titolari della nuda proprietà risultano essere i due figli della coppia, anche loro al 50% per ciascuno.

I soggetti hanno provveduto all’acquisto dell’unità integrando all’atto di compravendita le agevolazioni tributarie concesse con il Bonus Prima Casa, e dunque applicando delle imposte notevolmente ridotte rispetto a quelle in misura ordinaria.

Tempo dopo, l’ufficio competente dell’Agenzia delle Entrate ha notificato, in capo a tutti i membri della famiglia, un avviso di liquidazione e di irrogazione sanzioni, dove si disponeva la decadenza dall’incentivo e il conseguente recupero delle imposte non pagate.

Ciò per via del fatto che uno dei coniugi (il marito) risultava non aver trasferito la propria residenza entro le tempistiche imposte dalla normativa.

In particolare, tra i requisiti da rispettare per usufruire del Bonus Prima Casa, si richiede che i soggetti beneficiari provvedano a trasferire la propria residenza – nel Comune in cui è situato l’immobile acquistato – entro 18 mesi dalla firma del rogito.

Ricordiamo a questo proposito che i termini legati all’agevolazione per l’acquisto della Prima Casa sono attualmente sospesi per tutti i soggetti che hanno firmato o firmeranno l’atto di compravendita dal 23 febbraio 2020 al 30 ottobre 2023.

Per saperne di più, leggi: “Bonus Prima Casa, stop ai termini: quando la decadenza resta valida?

In seguito all’avviso delle Entrate, i quattro interessati hanno proposto ricorso sulla base del fatto che non tutti i membri della famiglia erano risultati inadempienti agli obblighi previsti per l’accesso all’agevolazione. Difatti, i due figli e la madre avevano correttamente trasferito la propria residenza entro le tempistiche richieste dalla legge, mentre il padre non aveva provveduto allo spostamento.

Illegittimo estendere la decadenza ai danni dei membri innocenti

Sia i giudici della CTP in primo grado che quelli della CTR in secondo grado hanno accolto parzialmente la tesi dei contribuenti, approvando il ricorso a favore dei 3 membri che avevano correttamente trasferito la residenza, e rigettando invece il ricorso mosso dal coniuge inadempiente.

Si è ritenuto in particolare che disporre la decadenza dal beneficio ai danni di tutti e 4 i membri della famiglia – quando uno solo risulta inottemperante – sarebbe illegittimo.

Per quanto riguarda il coniuge inadempiente invece, la CTR ha sottolineato che nel caso in cui l’acquisto dell’abitazione fosse avvenuto nel regime della comunione legale, il soggetto avrebbe potuto continuare a godere dei benefici di cui al Bonus Prima Casa, pur non avendo di fatto trasferito la propria residenza.

Questo per via del fatto che l’acquisto di un immobile in comunione legale tra coniugi comporta che si debba mettere in risalto il concetto di “residenza della famiglia”.

È proprio sulla base di quest’ultimo punto che i soggetti hanno deciso di tentare un ultimo ricorso presso la Cassazione.

Nello specifico contestavano il fatto che – nonostante i due coniugi fossero sposati con il regime della separazione dei beni – in ogni caso l’immobile era stato acquistato in regime di comunione ordinaria. Questo sia in riferimento al diritto di abitazione (50% indiviso tra i coniugi) sia in riferimento al diritto di nuda proprietà (50% indiviso tra i figli).

Si lamentava pertanto la falsa applicazione ai danni dei giudici di primo e secondo grado delle seguenti disposizioni previste dal Codice Civile:

  • 143: “Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri.”;
  • 144: “I coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa.”;
  • 1022: “Chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia.”.

Leggi anche: “Pignoramento beni in comunione tra coniugi: paga anche l’innocente

Prima Casa, comunione o separazione beni: le differenze

La vicenda giudiziaria si è conclusa appunto con l’Ordinanza n. 3123 del 2 febbraio 2023 della Corte di Cassazione, che ha spiegato i motivi per i quali il ricorso non possa essere ammesso a favore del coniuge inadempiente.

I giudici hanno richiamato delle passate sentenze in merito al tema, nelle quali è stato spiegato più volte che:

in tema di imposta di registro e dei relativi benefici per l’acquisto della prima casa, ai fini della fruizione degli stessi, il requisito della residenza nel Comune in cui è ubicato l’immobile va riferito alla famiglia, con la conseguenza che, in caso di comunione legale tra coniugi, quel che rileva è che l’immobile acquistato sia destinato a residenza familiare, mentre non assume rilievo in contrario la circostanza che uno dei coniugi non abbia la residenza anagrafica in tale Comune, e ciò in ogni ipotesi in cui il bene sia divenuto oggetto della comunione ai sensi dell’art. 177 c.c., quindi sia in caso di acquisto separato che in caso di acquisto congiunto del bene stesso.

In sostanza, si chiarisce che quando un immobile viene acquistato in regime di comunione legale tra coniugi, il requisito più importante da soddisfare per usufruire del Bonus Prima Casa è che l’abitazione sia destinata a residenza della famiglia. Non è rilevante invece, in questi casi, il fatto che uno dei coniugi possa avere la residenza in un Comune differente da quello in cui si trova l’immobile.

Difatti, basta che uno solo dei coniugi abbia (o abbia correttamente spostato entro 18 mesi dall’acquisto) la propria residenza nel Comune in cui si trova la casa familiare acquistata con le agevolazioni.

Tutto questo però vale, come espressamente specificato, solo se il bene viene acquistato nel regime della comunione legale.

Di base, gli acquisti fatti in comunione legale da uno dei coniugi vengono estesi ex lege alla posizione dell’altro coniuge, a prescindere dal fatto che questo abbia contribuito o meno al sostenimento della spesa. A questa regola ci sono anche delle eccezioni che prevedono, in determinate condizioni, la possibilità di escludere l’altro coniuge dalla proprietà di alcuni beni (approfondisci qui).

Acquisto in separazione beni è “egoistico”: criteri si soddisfano singolarmente

Se invece – come nel caso in questione – i due coniugi hanno contratto matrimonio con il regime della separazione dei beni, la situazione si considera in maniera differente.

Per poter beneficiare del Bonus Prima Casa, due coniugi sposati in regime di separazione patrimoniale devono entrambi – obbligatoriamente – dimostrare il rispetto dei criteri richiesti.

In questi casi, infatti, l’acquisto del diritto viene condotto in maniera cosiddetta “egoistica” o “individualistica” da parte di ognuno dei coniugi singolarmente. Il concetto di residenza familiare e di tutto ciò che concerne i bisogni del nucleo familiare, se c’è la separazione dei beni, assume una rilevanza indiretta.

Questo significa che la situazione familiare viene presa in considerazione, ma che prima di tutto, comunque, ognuno dei coniugi deve soddisfare tutti gli altri requisiti previsti dalla normativa per accedere all’agevolazione.

Non è corretto dunque il ragionamento mosso dai quattro membri della famiglia protagonista del caso. Questi ritenevano che il fatto che la moglie avesse correttamente spostato la residenza entro i termini stabiliti bastasse per estendere ogni diritto a tutti gli altri componenti della famiglia e, quindi, anche a favore del marito inadempiente.

Questo in virtù appunto dell’art. 1022 cc visto sopra, che prevede che chi acquista il diritto di abitazione può vivere in un immobile per il soddisfacimento dei “bisogni suoi e della sua famiglia”.

Sostenevano in sostanza che l’acquisto del diritto da parte della moglie – seppure avvenuto in regime di separazione dei beni – fosse da assimilare ai casi di acquisto in comunione legale. Ciò in quanto l’acquisto del diritto di abitazione da parte di un soggetto con famiglia darebbe all’immobile una sola destinazione univoca e complessiva, ovvero quella di residenza familiare, che in questo caso sarebbe stata poi completata con l’acquisto del diritto di usufrutto da parte dei due figli.

La Cassazione però ha confermato la tesi dei giudici di primo e secondo grado, disponendo dunque la decadenza dai benefici ai danni del marito che non ha spostato la residenza nei tempi stabiliti, e mantenendo invece l’usufrutto del Bonus Prima Casa a favore della moglie e dei due figli.

 

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