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«La nostra missione è aiutare le piccole e medie imprese, sono quelle che mandano avanti il Paese». Non ha dubbi Federico Sforza, 47 anni, Ceo di Banca AideXa, che a giugno ha festeggiato i dodici mesi di licenza bancaria. La fintech ha aperto i battenti nel marzo 2020, in piena pandemia. All’apertura, il patrimonio era di 48 milioni: dopo due anni, ha incrementato il capitale di 12 milioni, ha raggiunto i 200 milioni di depositi raccolti e i 250 milioni di finanziamenti erogati. Da poco, ha firmato un accordo con Poste Italiane per facilitare le richieste di finanziamento on-line. Una sorta di fast-cash: in 20 minuti (se ci sono le caratteristiche), la cifra finisce sul conto.

Come è nata l’idea?
«Davanti a un caffè, con Nicastro (Roberto, presidente banca AideXa, ndr). Ma l’idea parte da lontano».

Racconti…
«Con Nicastro ne parlavamo da un po’, ci conosciamo dai tempi di Unicredit, otto anni fa, quando abbiamo lavorato insieme. Già in quel periodo, ci eravamo resi conto che bisognava organizzare un’iniziativa per le Pmi. All’epoca seguivo i canali diretti e digitali. In una certa fase, c’erano esuberi di consulenti per le piccole imprese nelle agenzie. Ne ho approfittato per proporre un progettino: seguire da remoto le piccole e medie imprese sfruttando gli strumenti informatici. Così, abbiamo incominciato a raccogliere i bilanci via Pec, necessari per le valutazioni sulle aziende. E in quel momento mi sono reso conto del gap tra la domanda di servizi da remoto e la velocità di risposta nella concessione di credito da parte dell’offerta, rappresentata dalle banche. La procedura prevedeva di analizzare i bilanci e poi fissare un appuntamento in agenzia, non c’erano prodotti bancari per una risposta rapida. E così, gli imprenditori avevano tutti la stessa reazione, dicevano di richiamarli quando avessimo avuto l’ammontare e le condizioni del credito. Perché non avevano tempo da impiegare per andare in filiale, parlare con qualcuno, portare altra documentazione che magari andava perduta e così via».

Beh, direi che non avevano tutti i torti. La banca aveva già tutto quello che serviva per valutare…
«Una questione di approccio. Ma già allora avevo capito che quel tipo di servizio poteva essere una grande opportunità. Poi, ho fatto altre esperienze in Ing e poi in una fintech americana che utilizzava i dati per capire in tempo reale le possibili condizioni per un finanziamento. Quell’esperienza mi ha fatto capire che difficilmente un grande gruppo avrebbe potuto lavorare su una materia come i prestiti garantiti. Con un collega e amico abbiamo pensato a questo. Lui mi ha indicato Nicastro come la persona giusta da interpellare, così ci siamo rimessi in contatto e abbiamo preso quel famoso caffè. Lui voleva lavorare sui conti correnti da remoto, a me interessava aiutare le imprese con i finanziamenti. Abbiamo messo insieme i due obiettivi, proponendo servizi digitali, semplici e molto veloci».

Avete deciso di aprire nel marzo 2020, in piena pandemia. Un bel rischio…
«Ci siamo interrogati se aprire in pieno lockdown oppure no. La risposta è che aveva ancora più senso farlo in quel momento. Dovevamo trovare il modo di supportare gli imprenditori che sono la parte importante del Paese. In Italia ci sono 7 milioni di Pmi, che producono il 48 per cento del Pil e offrono oltre l’80 per cento dell’occupazione. Anche Bank of America è stata fondata a San Francisco in uno dei peggiori momenti storici da Amadeo Giannini, figlio di immigrati, che incominciò a finanziare proprio le piccole attività degli immigrati, le imprese meritevoli. Poco dopo, ci fu anche il terremoto, altra crisi da superare. Il suo esempio ci ha spronati».

Anche ai tempi nostri, ci siamo fatti mancare nulla: dopo la pandemia c’è stata anche la guerra in Ucraina, che ha portato la crisi energetica…
«Certo, l’impatto sulle imprese c’è stato, i costi delle aziende energivore sono saliti, ma questo quadro per noi è stato un vantaggio».

Mi faccia capire…
«Noi che valutiamo le aziende in modo differente, in questi frangenti capiamo più facilmente chi reagisce meglio. Sono fasi choc, non tutti si comportano nello stesso modo. Le racconto un episodio che mi ha ispirato».

Sono curioso…
«Un fine settimana mi trovavo a Venezia per visitare un’azienda. Un’eccellenza a livello mondiale, anche se ha un fatturato sotto i 10 milioni di euro. È specializzata nella lavorazione di vetro di Murano, ha 150 anni di storia, producono bicchieri molto particolari. Tanto per capirci, tra i suoi clienti c’è la Casa Bianca. Ecco, le lavorazioni del vetro assorbono moltissima energia e il rincaro energetico è stato pazzesco, tanto da costringere l’azienda a chiudere i forni. Per ripartire, avevano soltanto bisogno di poter spalmare le bollette in un arco temporale maggiore. Alcune banche hanno fatto blacklist con le aziende energivore, noi abbiamo cercato di aiutarle. Per questo, abbiamo messo a disposizione un plafond di 50 milioni di euro».

Come è cambiato il mondo dei servizi bancari negli ultimi anni?
«Negli ultimi 3-4 anni, c’è stata una grossa rivoluzione. Per le banche sta accadendo ciò che è avvenuto per le assicurazioni dieci anni fa con la legge Bersani. Si ricorda quando hanno detto che la certificazione della classe di merito apparteneva al cliente e poteva disporne per cercare sul mercato le condizioni migliori? Ecco, adesso accade anche con le banche, i dati del conto corrente appartengono al titolare che può utilizzarli per andare altrove a cercare condizioni migliori».

Una rivoluzione…
«Sì, ed è appena incominciata. È un patrimonio informativo enorme. Anche nel mondo privato. Ma nell’ambito delle aziende, consente di comprendere meglio l’impatto di clienti e fornitori. In questo modo, puoi dare all’impresa gli strumenti per capire come far evolvere il business».

E voi sapete come aiutare le imprese?
«Oggettivamente, abbiamo idee molto chiare su come poter soddisfare in maniera diversa i bisogni degli imprenditori. Abbiamo ben chiari i loro mal di pancia, per questo abbiamo approntato strumenti per prestiti veloci, semplici, trasparenti e sicuri».

In questi giorni è esplosa la «guerra dei Pos». Che ne pensa?
«Non siamo ancora entrati nel mondo dei Pos. La mia prospettiva è che oggi la gestione del contante ha costi enormi, per l’utente finale e per il commerciante. Il pagamento tech è più comodo, ma dal lato del commerciante ha un costo. Ma stanno cambiando le offerte dei circuiti, è giusto abbassare i costi delle commissioni. In Olanda, mi è capitato di entrare in un negozio e ho trovato un cartello dove veniva spiegato che non erano accettati i contanti per transazioni sotto i 50 euro. Questo perché gestire il contante costa. Le grandi banche dovranno cambiare e adeguarsi, è un trend inevitabile. Lo faranno, bisogna solo vedere quando».

E voi, niente Pos?
«Al momento no. A un certo punto lo faremo, non è il focus di brevissimo termine».

Con i vostri finanziamenti rischiate anche di alimentare imprese che evadono il Fisco?
«Diciamo che il “nero” non è visibile, non emerge dalla documentazione che esaminiamo. Ci basiamo sui bilanci, sulle transazioni. Il fenomeno del “nero” è complicato da valutare, per noi è quasi impossibile verificarlo. Certo, ci sono segnali che potrebbero essere significativi, ma è complicato».

Come avvengono le vostre analisi?
«Attraverso l’intelligenza artificiale, con algoritmi. E in alcuni casi, con valutazioni materiali».

Come vengono sviluppati questi strumenti?

«Prendiamo il meglio delle valutazioni tradizionali e abbiamo sviluppato modelli come XScore, attraverso l’accordo con 4 grosse banche. Abbiamo raccolto i dati di conto corrente di centinaia di migliaia di aziende degli ultimi 10 anni, compresi i dati di fallimento. L’intelligenza artificiale ha collegato vari modelli su spetti diversi per ottenere uno strumento di predizione, con un certo grado di affidabilità. Un modello unico per essere veloci nella risposta. Le faccio un esempio: in pandemia, interi settori sono stati messi in blacklist dal sistema bancario. Erano attività commerciali, che non venivano finanziate perché in quel momento c’era la chiusura quasi totale. Ma molti si erano reinventati, facevano cucina da asporto o consegne a domicilio. Attraverso l’analisi dei dati fino all’ultimo giorno utile, abbiamo potuto valutare chi aiutare e come».

A volte, però, ci sono anche imprese avviate da zero….
«Al momento, trattiamo soltanto imprese che abbiano il conto corrente da almeno due anni».

Quali sono le necessità più frequenti in questo periodo?
«Riceviamo tantissime richieste da aziende “energivore”. Anche dal settore immobiliare, perché le vicissitudini legate al bonus ristrutturazioni del 110 per cento hanno fermato il mercato. C’è bisogno di liquidità. E poi, ci sono le richieste dei piccoli commercianti. Su importi più sostenuti, abbiamo valutatori che guardano in modo approfondito investimenti in aziende più strutturate».

Altro tema di attualità è l’evasione fiscale. Secondo lei, come bisognerebbe affrontarlo?
«Non credo esista un unico modo per approcciare la questione, servirebbero varie iniziative da mettere in pista su più fronti. Credo sia importante una politica fiscale favorevole all’emersione dell’illegalità. Le faccio un esempio. Ho vissuto tre anni in Germania, i miei figli sono nati lì e ad un certo punto c’era la necessità di prendere una tata. In Italia, sovente sono pagate in nero, come molti servizi di assistenza alla persona. In Germania no, c’è una fiscalità vantaggiosa. Tutte le baby-sitter fanno la ricevuta. Conviene di più pagare che rischiare una multa, salatissima per loro e per i datori di lavoro. C’è un chiaro beneficio per entrambi. In Italia abbiamo avuto un esempio con il fenomeno degli affitti. Vent’anni fa era un problema enorme. Piano piano, fiscalità agevolata e canoni concordati hanno fatto emergere tantissimi contratti. Questo perché c’erano ripercussioni pesanti anche per chi affittava. Bisogna innescare un percorso virtuoso, trovare meccanismi fiscali che facilitino l’emersione del “nero”. Ma servono anche punizioni certe per chi non si adegua. Quindi, politica fiscale incentivante all’emersione e sistemi controllo per il rispetto delle normative Non è facile, ma è la strada giusta».

La flat-tax aiuta?
«Certo, ma servono anche controlli e sanzioni certe per chi viola la legge».

Torniamo alle imprese. Da voi si aspettano soltanto finanziamenti o anche altri tipi di aiuto?
«Facciamo in modo che i finanziamenti siano sostenibili anche per l’imprenditore, non solo per noi. Magari un’azienda chiede un prestito da 200 mila euro, ma sarebbe in difficoltà a sostenerlo. Guardando i flussi di cassa riusciamo a capirlo e allora consigliamo di ridurre l’importo per renderlo sostenibile. I nostri modelli consentono di leggere bene i dati e simulare che cosa accadrà domani. Al momento non siamo in condizioni di offrire consulenze aziendali di altro tipo, non siamo strutturati per questo. In futuro, magari lo faremo, chi lo sa».

Dove sono dislocati in Italia i vostri clienti? Come avvengono le consulenze?
«Utilizziamo tantissimo lo strumento della videochiamata. Le dirò, la clientela è abbastanza distribuita, il 35-40 per cento al Nord, il 30 per cento al Centro e il 30-35 per cento al Sud. Per favorire anche il contatto diretto, abbiamo una rete di accordi con realtà del territorio, mediatori o Confidi selezionati. A volte, è il consulente Confidi che porta avanti le richieste».

In un anno siete passati da 35 a 75 dipendenti. Continua la campagna di assunzioni?
«Abbiamo assunto tantissime persone con fortissime competenze nei settori digitali, dati e tecnologico. L’età media è 32 anni. Abbiamo attratto talenti che hanno ricevuto richieste anche da Google e Ebay. Possono aggiungere valore, soprattutto se combinati con competenze più consolidate, di colleghi che hanno esperienza trentennale nel settore del credito».

Un sogno nel cassetto?
«Riuscire a rimanere la banca più apprezzata, abbiamo toccato quota 5 mila clienti tra correntisti e destinatari di prestiti. In un paio d’anni, vorremmo diventare la seconda banca. Nel senso che la Pmi di solito ha tre banche di riferimento, noi vorremmo essere la seconda. E poi, tra una decina d’anni, diventare la banca di riferimento per gli imprenditori».

Modelli, algoritmi, intelligenza artificiale. Ma quanto pesa il cuore nel vostro business?
«Algoritmo, sì, ma non siamo talebani del digitale. C’è sempre una persona che segue le questioni. Il cuore conta tanto. Conta nella scelta di aver fatto questo, conta tanto in ognuno di noi. Nel mio ufficio c’è un cuore grande verde, simboleggia l’intenzione di essere sostenibili con l’obiettivo più alto di aiutare imprenditori a realizzare i loro progetti. È un senso più alto del solo business».

 

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