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Mi viene restituita merce precedentemente venduta: devo emettere nota di credito od attendere una fattura da parte del cliente?” Questo è un quesito che potrebbe porre una azienda al proprio consulente fiscale o, comunque, questo è un argomento che potrebbe essere analizzato per verificare la regolarità negli adempimenti Iva dei propri clienti.

“Dipende”, sarebbe la prima risposta da dare, posto che, senza una analisi della documentazione contrattuale e dei motivi per cui il cliente restituisce della merce che gli era stata precedentemente venduta, non è possibile dare una risposta.

Una analisi specifica sarà svolta, poi, in un successivo contributo, sulle movimentazioni di pallet ed imballaggi vari, in quanto non è raro incontrare situazioni che non appaiono sempre corrette.

Partiamo da un primo esempio per spiegare la questione. Ipotizziamo che una cantina venda dei pregiati vini rossi ad un proprio cliente e, dopo due anni, le due aziende si accordino per una “restituzione” di tali vini. Come anticipato, non si può prescindere dal motivo per cui questi pregiati vini rossi verranno restituiti; ipotizziamo che un primo motivo sia che, all’apertura di 3 bottiglie della partita, tutte queste “sapevano di tappo” e il venditore – sospettando di aver imbottigliato tutta la partita con dei tappi problematici – decide di ritirare tutte le bottiglie vendute, restituendo il corrispettivo originariamente pagato. In una seconda ipotesi, invece, il ristorante realizza di aver acquistato delle bottiglie troppo costose per la sua clientela tipica e chiede al venditore se può restituirle, magari effettuando un acquisto di una maggiore quantità di vino di minor prezzo.

Nel primo caso, utilizzando le parole della Risoluzione n. 651425/E/1989, “appare evidente che trattasi di una risoluzione consensuale della vendita originaria” che non può certo richiedere l’emissione di una fattura da parte dell’originario cliente nei confronti dell’originario venditore, bensì l’emissione di un documento che storni l’operazione originaria. Ricordiamo che un contratto può essere risolto per inadempimento di una delle parti (nel caso specifico inadempimento sulla qualità del prodotto venduto) e che la risoluzione può derivare anche da un accordo tra le parti e non deve necessariamente essere dichiarata da un giudice.

In questo senso, l’articolo 26, D.P.R. 633/1972, prevede che una operazione originaria possa essere rettificata in ipotesi di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili del contratto originario. In sostanza, in una situazione di tale tipo dovrà essere l’originario venditore – che emette una nota di credito al proprio originario cliente (rispettando le tempistiche di emissione di tali documenti) – a decidere se lo storno vuole essere fatto con l’Iva; qualora, invece, non si intenda stornare l’importo comprensivo di Iva, l’originario venditore potrà sempre emettere una nota di credito per il solo imponibile, fuori campo Iva, a norma dell’articolo 26, D.P.R. 633/1972.

Segnaliamo che su un caso simile (vendita di stampi industriali e restituzione degli stessi per vizi e difetti riscontrati), la Cassazione ha statuito che “l’originaria cedente avrebbe dovuto emettere una nota di credito a favore della cessionaria, al fine di annullare – in tutto o in parte – la vendita pregressa” (sentenza n. 27676/2013) confermando, quindi, i rilievi dell’ufficio sulla cedente, circa l’indetraibilità dell’Iva sulla fattura ricevuta dalla cessionaria una “retrovendita” che, invece, non c’è stata.

Analizziamo, quindi, il secondo caso, nel quale non si hanno motivi per risolvere il contratto originario, posto che non è in discussione la correttezza dell’adempimento nelle obbligazioni dei due contraenti. In questo caso, utilizzando i termini impiegati dalla Corte di cassazione, nella sentenza n. 4552/2022, “muovendo dalla premessa che nei contratti ad effetti reali, detti effetti si sono ormai realizzati, almeno di regola, con la stipulazione, si ritiene che essi non possono essere rimossi con il mutuo consenso, in virtù della sua naturale efficacia retroattiva, ma solo attraverso un apposito, per così dire, «contronegozio»”. In sostanza, nella vendita in cui il diritto di proprietà è stato trasferito dal cedente al cessionario, mancando le tipiche motivazioni che giustificano una risoluzione del contratto ex tunc (inadempimento), per eliminare con efficacia ex nunc gli effetti del contratto originario con mutuo consenso, sarà necessario provvedere attraverso una cosiddetta “retrovendita”. Da qui pare evidente che, in simili circostanze, l’originario cliente dovrà fatturare i beni che intende restituire all’originario venditore, e non deve ritenersi corretta l’emissione di una nota di credito da parte di quest’ultimo.

 

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