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Come verranno suddivisi i tagli di spesa previsti dalla legge di bilancio per la pubblica amministrazione? Una bozza di decreto prevede che siano maggiori per gli enti locali che sono riusciti ad avviare progetti Pnrr. Ma è una logica che non convince.

Come richiesto nella legge di bilancio al comma 533, il governo dovrebbe presto approvare un decreto che decide come distribuire il taglio di spesa agli enti locali come contributo alla spending review della pubblica amministrazione. La bozza circolata ha creato un po’ di malumore soprattutto tra i sindaci, tanto che la discussione in Consiglio dei ministri è stata rimandata a dopo le Europee. Il decreto, infatti, prevede un taglio di spesa per il 50 per cento proporzionale alla spesa corrente effettuata dai comuni escluso quella relativa ai diritti sociali, politiche sociali e famiglia e per il 50 per cento proporzionale al riparto dei fondi Piano nazionale di ripresa resilienza.

La contestazione è relativa a quest’ultima previsione. In particolare, si sostiene che agli enti locali che sono riusciti ad avviare progetti Pnrr, in gran parte rivolti ad attivazione di asili nido, scuole dell’infanzia e riqualificazione di aree depresse, verrà richiesto un taglio di spesa maggiore rispetto a comuni che non hanno fruito dei fondi Pnrr.

La logica di questa impostazione è quella di considerare i fondi Pnrr come sostituti di potenziali fondi nazionali. Se utilizzo risorse Pnrr, non ho più bisogno di fondi nazionali, che quindi non devono essere impiegati per finanziare ulteriore spesa. Il ragionamento non è proprio lineare visto che la riduzione, basata di fatto su quanta spesa per investimenti è stata finanziata tramite Pnrr, può intervenire indistintamente su spesa corrente e spesa per investimenti. Il taglio riguarda infatti una diminuzione del trasferimento spettante dal fondo di solidarietà per i comuni e dal fondo unico per le province e le città metropolitane, che non ha vincolo di destinazione. Potrebbe avere una certa coerenza se il decreto dicesse esplicitamente che il taglio allocato con il ranking Pnrr riguarda esclusivamente la spesa in conto capitale, a parità di spesa corrente dell’anno precedente. Tuttavia, anche in tal caso si potrebbe obiettare che quelli Pnrr avrebbero dovuto essere investimenti addizionali rispetto a quelli già esistenti e quindi avrebbe poco senso ridurre quelli esistenti in proporzione all’utilizzo dei fondi Pnrr.

Se, come sembra, chi riceve più progetti Pnrr sarà costretto a tagliare la spesa corrente, saremmo di fatto di fronte a una sostituzione di spesa corrente con spesa in conto capitale, che potrebbe non essere sostenibile. Sarebbe a dire: costruisco un nuovo asilo, ma poi potrei non avere tutte le risorse necessarie non solo per pagare il personale del nuovo asilo, ma anche quello del vecchio asilo. Paradossalmente, a giustificazione del fatto che spendevano troppo poco dei fondi di coesione, i comuni hanno sempre lamentato che la spesa per investimento avrebbe generato una necessità aggiuntiva di spesa corrente di cui non avevano garanzia di copertura. Così, il governo dà loro ragione.

Il contributo delle regioni

L’altro tema che il decreto solleva è quello del riparto tra i vari comparti della Pa del taglio alla spesa pubblica previsto dalla legge di bilancio del 2024. In particolare, sono previsti 822 milioni per l’amministrazione centrale, 350 milioni per le regioni e 250 milioni per gli enti locali (200 per i comuni e 50 per le province). Negli anni successivi il risparmio delle amministrazioni centrali sarà leggermente in crescita.

Consideriamo la spesa primaria (al netto degli interessi passivi) propria, ovvero al netto di trasferimenti verso altri enti, di stato, regioni ed enti locali (comuni e province) del 2022.

Poiché la parte di spesa dello stato relativa ai contributi agli investimenti è fortemente appesantita dalla contabilizzazione del Superbonus, ipotizziamo che sia pari alla media del triennio 2017-2019. Se utilizzassimo come criterio di distribuzione dei tagli l’allocazione della spesa primaria del 2022 (modificata come appena descritto) tra i tre comparti, i comuni e le province dovrebbero contribuire per 235 milioni di euro, le regioni per 519 e lo stato per 668. Visti i tagli previsti dalla legge di bilancio, se il taglio fosse linearmente dipendente dalla distribuzione della spesa tra i tre comparti della Pa, comuni e province dovrebbero dare 15 milioni in meno, lo stato oltre 153 milioni in meno (ciò è cruciale tenuto conto che molto spesso i ministeri non rispettano i tagli) e in cambio alle regioni dovrebbero essere chiesti 168 milioni in più. A cosa sono dovute queste differenze rispetto ad un taglio lineare tra comparti? Le regioni sono più efficienti di stato, comuni e province?

Comunque, pur accettando la distribuzione del taglio tra comparti della Pa così come proposta in legge di bilancio, la questione di fondo rimane il modo in cui il taglio è ripartito all’interno dei tre comparti. Perché non si è proceduto a fare un unico decreto anche per l’allocazione dei 352 milioni previsti per le regioni e degli 822 per i ministeri, utilizzando lo stesso criterio proposto per gli enti locali? Per coerenza, si sarebbe dovuto tagliare a tutti almeno il 50 per cento della spesa corrente in proporzione ai fondi Pnrr ricevuti, sennò sembra davvero che tutta l’operazione abbia una ragione politica.

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Marco Leonardi

È professore ordinario di Economia dell’Università degli studi di Milano. Phd. in economia alla London School of Economics, è stato visiting scholar presso il Massachussetts Institute of Technology di Boston e l’Università di Berkeley. I suoi principali interessi scientifici riguardano l’economia del lavoro e in particolare temi legati a disoccupazione, disuguaglianza e redistribuzione. È stato, durante il governo guidato da Paolo Gentiloni, consigliere economico del presidente del Consiglio.

Leonzio Rizzo

rizzo

Si è laureato in Economia all’Università Cattolica di Milano. Ha conseguito il Master in Economics a Louvain-la-Neuve e il dottorato in Economia Politica all’Università Federico II di Napoli. E’ stato Marie Curie post-doc fellow alla LSE. Si occupa di temi di economia pubblica e political economy con particolare riguardo alla finanza locale. Ha insegnato all’Università Cattolica di Milano e all’Università di Novara e Ferrara. E’ professore ordinario di Scienza delle Finanze presso quest’ultima Università e research affiliate presso l’IEB dell’Università di Barcellona. Ha svolto e svolge attività di consulenza per vari enti pubblici. È stato membro del comitato direttivo della Siep (Società Italiana di Economia Pubblica) per il periodo 2015-2021. È redattore de lavoce.info. @leonziorizzo su Twitter.

 

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