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La trasmissione della cittadinanza italiana jure sanguinis può essere dimostrata con qualsiasi mezzo, afferma la Corte di Cassazione italiana. Il suo riconoscimento può essere dimostrato con diversi mezzi, oltre all’atto di nascita. Ciò è quanto ha sentenziato la Corte Suprema di Cassazione d’Italia in una apposita sentenza del recentissimo 22 maggio 2024.

Nel caso specifico in esame, la nostra Corte Suprema di Cassazione ha chiarito aspetti fondamentali sulla prova dell’affiliazione necessaria per la trasmissione della cittadinanza italiana iure sanguinis (per diritto di sangue).

La sua decisione, infatti, ha un impatto significativo sulla normativa e sulle consuetudini vigenti, in quanto confuta l’attuale pratica amministrativa restrittiva e apre la strada ai discendenti degli italiani di tutto il mondo, specialmente in paesi come il Brasile, consentendo loro di utilizzare una varietà di documenti e di prove per ottenere il riconoscimento della loro cittadinanza italiana.

Il caso in esame riguardava una cittadina brasiliana, discendente di un italiano emigrato in Brasile alla fine del XIX secolo.

Sempronia (per motivi di privacy non si citano i suoi dati) aveva richiesto diverso tempo addietro il riconoscimento della cittadinanza italiana per discendenza ad un funzionario dello Stato Civile del competente Comune italiano.

La richiesta le venne respinta a causa dell’assenza di un atto di nascita brasiliano dell’ascendente, cioè del parente da cui si discende, nato nel 1895, cioè del figlio dell’italiano. L’ufficiale di stato civile ritenne al riguardo che altri documenti presentati, come il certificato di battesimo brasiliano e il certificato di matrimonio dei genitori, non fossero sufficienti, poiché all’epoca erano già esistenti ed in attività uffici notarili in Brasile.

La ricorrente fece allora ricorso inizialmente alla Corte di Venezia e, successivamente alla Corte d’Appello di Venezia. Entrambi i Tribunali confermarono la decisione dell’ufficiale di Stato Civile, basandosi sulla necessità del certificato di nascita, come indicato da una apposita circolare del 1991 del Ministero dell’Interno italiano.

Questa circolare elencava ed elenca tuttora puntualmente i documenti richiesti per il riconoscimento della cittadinanza italiana per prole, ivi compresi l’atto di nascita di ogni ascendente.

Intervenendo in ultima istanza su quanto sfavorevolmente sentenziato nei due precedenti gradi di giudizio, la nostra Corte di Cassazione ha annullato la decisione della Corte d’Appello di Venezia, qualificandola addirittura come “oggettivamente apodittica (eccessivamente dogmatica)”.

Nella sua recente sentenza la Corte ha sottolineato che il sistema giuridico italiano prevede un “sistema multilivello” di prova dell’affiliazione, dove l’atto di nascita è solo il primo livello di prova.

In situazioni in cui l’atto di nascita non è disponibile o non è conforme alle leggi italiane, è possibile ricorrere ad altri mezzi di prova, come previsto dall’articolo 236, secondo comma, del Codice Civile italiano. Questo livello di prova è “in forma libera” e consente l’uso di vari mezzi, compresa la prova testimoniale.

Il Ministero dell’Interno sulla decisione non ha ancora fatto ricorso e ha solo richiesto un termine di partecipazione, ai fini dell’eventuale suo intervento all’udienza di discussione.

Nella decisione della Corte di Cassazione è stato stabilito che altri documenti e prove, come atti di Stato Civile (nascita, matrimonio o morte) o eventuali prove testimoniali, possono essere utilizzati per dimostrare l’affiliazione e, di conseguenza, la trasmissione della cittadinanza italiana.
Tale espressa previsione appare di grande rilevanza, e non solo per i casi in cui l’atto di nascita è assente, ma anche per quelli in cui l’atto di nascita non soddisfa i requisiti formali del sistema italiano, soprattutto per quanto riguarda l’indicazione della paternità o della maternità.

Vasta eco e clamore un po’ dovunque derivanti da tale decisione, in particolare in Brasile. Secondo quanto riportano le Istituzioni e la Stampa brasiliana, infatti, tale sentenza apre una nuova opportunità per i richiedenti che hanno difficoltà a trovare i certificati dei loro antenati.
Infatti, secondo quanto evidenziano nelle loro considerazioni i Media brasiliani, questa decisione giuridica dell’Alta Corte italiana rende la prova da esibire e sottoporre per i riconoscimenti della cittadinanza alle competenti istituzioni certamente più flessibile. In particolare, quando la documentazione storica non è conforme agli standard italiani, si garantisce quindi con essa che i discendenti ottengano il riconoscimento della cittadinanza italiana in modo più equo e accessibile, consentendo loro di superare di fatto tutti quegli ostacoli burocratici dovuti all’assenza o all’inadeguatezza dei vecchi registri notarili.

Quanto previsto in sentenza appare cosa buona e giusta, riteniamo. Infatti, che si agevoli e si faciliti con la formalizzazione del riconoscimento della cittadinanza italiana il rientro dei nostri realmente riconosciuti connazionali residenti all’estero, appare atto doveroso e di grande impatto sociale. In particolare, sottolineiamo per tutti i nostri veri, riconosciuti neo concittadini, desiderosi di rientrare in Italia e di dare un reale contributo in termini lavorativi ed economici al nostro paese.

Ma di contro, come arginare in conseguenza di tali facilitazioni, l’attività truffaldina di fasulle società di consulenza manovrate in tutto il mondo dalla malavita, organizzazioni che speculano e si arricchiscono con tali riconoscimenti della cittadinanza tricolore basandosi su testimonianze fasulle e precostruite?

Al ministero dell’Interno ed al nostro Parlamento una risposta adeguata al riguardo che limiti o contenga il problema, senza però creare nuove difficoltà normative ai nostri sani e realmente perbene aspiranti concittadini.

Che ne direste care Istituzioni di dare un patentino di legalità, dopo approfonditi controlli, alle società di consulenza per il riconoscimento della cittadinanza alla nostra gente, per avere ragionevoli certezze sul loro operato?

Pier Francesco Corso



 

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