in Giurisprudenza Penale Web, 2024, 9 – ISSN 2499-846X
Il concetto di immaterialità nell’ambito dei beni culturali è da diverso tempo un grande catalizzatore dell’attenzione della dottrina e della giurisprudenza italiana. Pertanto, prima di affrontare la questione sollevata nel titolo, si cercherà di apprezzare l’esistenza e di tracciare il necessario inquadramento giuridico di quell’elemento del bene culturale che non è visibile o tangibile, ma che ne costituisce la vera e più intima natura, anche in considerazione del fatto che, quando pensiamo ai beni culturali, dobbiamo ricordare che “immateriale e intangibile è, al fondo, il motivo più alto che spinge a proteggerli e a favorirne la conoscenza”.
Prima di addentrarci nell’esame delle diverse posizioni e delle fasi evolutive del concetto di immateriale nel diritto italiano, è bene ribadire l’ovvio, cioè che il nostro attuale ordinamento, e in particolar modo la parte che disciplina i beni culturali (su tutti, il Codice dei Beni Culturali, D.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni e integrazioni) sconta un’impostazione “materialista” nel senso più puro del termine: vedremo infatti come il concetto dominante di “coseità” del bene culturale possa arrivare a compromettere la tutela dei beni culturali immateriali.
Tale vulnus è purtroppo stato ereditato anche dalla nuova disciplina penalistica in materia di reati contro i beni culturali (Titolo VIII-bis del Codice Penale) e ciò risulta evidente da una serie di ragioni che esamineremo nel dettaglio. La tutela dei beni culturali in Italia, allo stato attuale, è inequivocabilmente ancorata alle categorie di cose (intese nel loro senso giuridico di res qui tangi possunt) descritte nell’art. 10 del citato Codice dei Beni Culturali, e questo fa sì che i poteri amministrativi (ordinatori, sanzionatori, conformativi) del Ministero della Cultura possano essere davvero efficaci solo quando proteggono il bene culturale nella sua dimensione concreta: basti pensare alle norme sulla circolazione dei beni culturali sul territorio nazionale (artt. 53 e ss.) e oltre i confini nazionali (artt. 64bis e ss.).
Una tale ristretta forma di tutela, come avremo modo di vedere, risulta lacunosa e inefficace per proteggere l’immagine digitale dei beni culturali, e ancor di più quelle forme di arte che nascono digitali e che circolano in modo (più o meno) incontrollato sulla rete.
Come citare il contributo in una bibliografia:
M. Spinelli, Alcune riflessioni sul nuovo Titolo VIII-bis del Codice Penale e sulle possibilità di tutela dei beni culturali immateriali, in Giurisprudenza Penale Web, 2024, 9
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