Nel mezzo di una torrida estate, Ferrara appare altrettanto focosamente divisa sulla scelta da parte dell’organizzatore del Festival di cambiare il format della manifestazione di cui detiene il marchio dal 1998. Questo è il punto fondamentale che sfugge ai ragionamenti finora emersi: Il Ferrara Buskers Festival è un marchio registrato, non è una manifestazione su cui il Comune (o i suoi cittadini) possano decidere a sentimento. Ci sono molte altre manifestazioni in città che ricevono contributi pubblici; associazioni, scuole di musica che godono di introiti anche importanti, per nulla oggetto di contestazione circa il prezzo di un biglietto o il costo di un corso.
É vero, il Ferrara Buskers Festival appartiene alla città: molti studi sull’appeal turistico di Ferrara segnalavano già molti anni fa come esso fosse, assieme al Castello Estense, l’elemento connotativo del nome di Ferrara nella mente dei turisti. Ciononostante, non sempre società civile e operatori economici, che pure ne hanno beneficiato per 36 anni ad oggi, si sono sentiti veramente parte attiva e di sostegno del festival, che è evento della comunità e per la comunità: gli “amici del festival” degli anni 90 sono andati scemando ed è stato necessario trovare soluzioni di sostenibilità economica alternative. Se una manifestazione è avvertita come simbolo privilegiato e risorsa della città, è la comunità cittadina nel suo complesso, oltre ai fondi pubblici, a sostenerla come tale.
Gli organizzatori ben spiegano le ragioni alla base della scelta di cambiare location ed inserire un biglietto per l’ingresso: i costi Siae, i costi organizzativi, soprattutto quelli legati alla sicurezza a seguito della sanguinosa stagione degli attentati in Francia, sono lievitati in modo esponenziale, ma anche le spese vive per l’ospitalità o i rimborsi dei viaggi, come sanno bene gli operatori. La sola spesa di occupazione suolo pubblico si aggira sui 10.000 euro, il Piano Sicurezza sui 50.000, i costi della refezione 22.000, gli alberghi 18.000. Il contributo pubblico è al lordo, dal quale vanno tolte tutte le spese istruttorie e quelle del contratto con l’Agenzia delle Entrate. Nessun grande evento gratuito si sostiene con il solo finanziamento pubblico, a meno che questo non copra più dei tre quarti dei costi, perché senza sponsor privati si fatica a proporre un evento di qualità, capace di continuare ad attrarre artisti veri da tutte le parti del mondo.
Organizzare un festival è un lavoro, l’operatore culturale è una professione, non un hobby. La nostra città non ha molte leve economiche e opportunità per i giovani, molti dei quali in 36 anni si sono formati nei vari ambiti organizzativi: professionisti che ora lavorano in agenzie di alto livello in giro per l’Italia, ma non a Ferrara, complice un gioco al ribasso che propone lavori saltuari e poco retribuiti, come testimoniano le analisi di indotto sul mercato del lavoro del sistema eventi in città.
Vale forse la pena di pensare in prospettiva, quindi di lasciare al Ferrara Buskers Festival la scelta ed il rischio d’impresa; di lavorare già da ora per la prossima edizione con gli organizzatori. Le Istituzioni e il mondo economico locale, però, devono e possono fare di più per consentire al Ferrara Buskers Festival un decisivo salto di qualità: sostenere economicamente la promozione e l’organizzazione degli eventi, ridurre al minimo i disagi della burocrazia e i costi della sicurezza, favorire il coinvolgimento di grandi sponsor nazionali e internazionali. La speranza è quella di rivedere presto il festival tra le vie del centro storico come evento diffuso e di qualità, richiamo turistico e volano in un settore che in città fatica. Agli organizzatori va il nostro in bocca al lupo perché sia un successo: non solo per quanto questa città ha beneficiato dal festival in questi anni, ma anche perché nei momenti di cambiamento, nei passaggi difficili, è meglio esserci che giudicare a braccia conserte.
Massimo Buriani, Anna Chiappini, Sara Conforti, Elia Cusinato, Davide Nanni, Matteo Proto, Enrico Segala
Gruppo Consiliare Pd
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