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Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ieri la Cina ha annunciato ricorso al Wto contro i dazi europei sulle loro auto elettriche.

«Credo che sia utile trovare una soluzione negoziale, come accaduto altre volte nel passato, che ripristini condizioni di parità».

Dopo la doppia missione del governo a Pechino a che punto sono le trattative per attrarre investimenti in Italia?

«In questi giorni abbiamo già finalizzato quattro significative intese per produrre in Italia pannelli fotovoltaici, impianti eolici, tecnologia green. E tre memorandum of understatement con produttori di auto. A fine mese una delegazione tecnica andrà in Cina dove incontrerà altre case automobilistiche.

I tempi per i primi insediamenti?

«Sia ben chiaro, non si fa tutto in un giorno né in un mese. Ci vuole tempo e costanza di azioni. Peraltro a garanzia di quel che intendiamo fare, ogni incontro si è sempre svolto alla presenza del rappresentante delle imprese della componentistica italiana. Perché sia chiaro che chi vuole produrre in Italia deve farlo con le imprese e i lavoratori italiani: produrre, appunto, e non assemblare».

Al centro dello scontro tra Cina e Ue ci sono le auto elettriche. La cui domanda è bassa non solo da noi.

«Con il nostro piano incentivi vi è stato un balzo nell’elettrico, ma servono troppe risorse per raggiungere gli obiettivi del Green deal. E l’Europa rischia di arrivare stremata alla meta. La visione fondamentalista è stata sconfessata dagli elettori: le istituzioni devono prenderne atto».

Che farà l’Italia?

«Siamo impegnati in Europa a costruire il “fronte della ragione”, cioè delle imprese e dei lavoratori. L’altro giorno sono andato a L’Aja per sottoscrivere una dichiarazione congiunta di politica industriale con il nuovo ministro dell’Economia dei Paesi Bassi, la cui coalizione ha sconfitto proprio colui che era il sacerdote del Green deal, cioè Frans Timmermans. Siamo impegnati in Europa per rendere sostenibile la decarbonizzazione dei trasporti senza cadere nella trappola del solo elettrico: occorre un approccio non ideologico di “neutralità tecnologica”. I biocombustibili accanto ai combustibili sintetici e all’idrogeno possono dare risposte significative anche con il motore endotermico. Abbiamo già rimosso l’ostacolo di Euro 7 e stiamo lavorando per indirizzare la nuova Commissione a un approccio più realistico. La sostenibilità ambientale va coniugata con la sostenibilità economica e sociale. E serve una chiara politica industriale con risorse comuni per sostenere gli investimenti delle imprese, con una politica commerciale di difesa del mercato e della produzione interna da ogni forma di concorrenza sleale».

Lei ha smentito frizioni con Stellantis. A settembre, quando vi rivedrete, che accordo punta a chiudere con il gruppo?

«Il piano che Stellantis presentò quattro anni fa al governo di allora non corrisponde agli interessi nazionali. Noi lo dicemmo con chiarezza in Parlamento, quando eravamo forza di opposizione e ora siamo impegnati dal governo a sviluppare una politica industriale che consenta livelli più ambiziosi sul piano produttivo: abbiamo concordato almeno un milione di veicoli, che significa anche investimenti in ricerca e innovazione, nuovi modelli competitivi, riqualificazione professionale, sostegno alla componentistica. Ci aspettiamo piena corrispondenza di azione. Nel frattempo abbiamo posto in campo azioni di politica industriale nel campo della siderurgia e della microelettronica per garantire che l’auto italiana sia realizzata con l’acciaio e i chip prodotti nel nostro Paese».

Ma mancano le batterie: Stellantis, sulla gigafactory a Termoli, sembra rinunciare.

«Aspettiamo una risposta chiara in questi giorni. Perché non possiamo sprecare le risorse del Pnrr che erano state loro assegnate. Nel frattempo abbiamo aperto un nuovo bando con 205 milioni che spero possa incentivare altri attori».

Sul fronte degli incentivi all’auto, come cambierà la ripartizione tra offerta e domanda?

«È quanto definiremo dopo il confronto con sindacati e forze produttive. In ogni caso sosterremo i ceti a minor reddito e la componentistica europea e italiana. Ricordo anche che sulla microelettronica, fondamentale per l’auto, abbiamo conteggiato già oltre 9 miliardi di investimenti nella prima parte dell’anno».

C’è poi il fronte della siderurgia. Avete cacciato Mittal dall’Ilva di Taranto…

«Abbiamo ripreso quella che era la più grande azienda siderurgica europea e in pochi mesi abbiamo realizzato il processo di assegnazione a nuovi player industriali. Abbiamo rimesso in campo Piombino con due attori internazionali, che condivideranno la stessa area riportando i lavoratori in fabbrica dopo oltre 9 anni di cassa integrazione».

Sul piano Transizione 5.0 le imprese vi chiedono di semplificare le procedure per le Pmi e di superare i divieti di cumulo degli incentivi. Che cosa rispondete?

«La trattativa con la Commissione è durata sei mesi. E abbiamo spuntato il massimo possibile: infatti il piano ora comprende tutti i settori e tutte le tipologie di imprese. Se si tratta di qualche affinamento procedurale si può fare, ma non altro».

Si sta rilanciando il nucleare. Oltre a questa, quale saranno le altre soluzioni contro il caro energia?

«Intanto produrre il massimo di energia rinnovabile: fotovoltaico, eolico, geotermico, ovviamente laddove possibile anche idroelettrico, sviluppando come stiamo facendo le filiere produttive italiane. A cui affiancare, dal 2030 in poi anche la produzione di energia nucleare. Parlo di Smr, piccoli reattori industriali e componibili secondo le necessità. Nucleare di terza generazione avanzata, assolutamente sicuro. I cui moduli possiamo realizzarli proprio in Italia anche per il mercato europeo e mediterraneo».

Con il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, avete anche parlato di piano casa.

«Lo stiamo definendo con gli altri ministeri competenti: avrà una risposta strutturale con il coinvolgimento di demanio e fondi immobiliari per consentire alle aziende di realizzare le abitazioni per i propri lavoratori e un aspetto più immediato con bonus specifici per consentire da subito di soddisfare le esigenze di chi non può accettare un posto di lavoro perché non può permettersi alloggio a prezzi così elevati».

Intanto, dall’inizio dell’anno, la spinta della manifattura al Pil si sta affievolendo.

«Il piano transizione 5.0 mette in campo quasi 13 miliardi di euro per l’innovazione tecnologica e la formazione dei propri lavoratori, una spinta eccezionale all’uso della tecnologia green e digitale per rendere più competitive la nostre imprese. Tecnologie che vogliamo produrre sempre più nel nostro Paese e per questo abbiamo realizzato il decreto legge sulle materie prime critiche, appena convertito dal Parlamento, che consentirà di riprendere a estrarre nel nostro sottosuolo quel che serve a fare batterie, pannelli fotovoltaici, impianti eolico, microchip».

Facciamo un bilancio di tutti i tavoli che si sono tenuti in questa settimana in via Veneto?

«Abbiamo iniziato con i segretari generali dei sindacati e concluso con Confindustria. Abbiamo fornito un pacchetto di proposte per superare la crisi al tavolo di settore sulla moda e delineato la politica per l’automotive. E abbiamo nel contempo risolto la crisi Marelli salvaguardando tutti i lavoratori, concluso le procedure per la assegnazione di Termini Imerese garantendo tutti i lavoratori in cassa integrazione da 14 anni. E poi Borsa Italiana, Fondazione Santa Lucia, Wartsila. In 20 mesi gli occupati sono aumentati di 805 mila unita, 66 mila nella manifattura, il Pil crescerà anche quest’anno più di quanto cresca in Francia e in Germania e l’inflazione è la più bassa in Europa. Vi ricordate le polemiche sulla benzina della scorsa estate? Guardate i prezzi di oggi. Buone vacanze a tutti».

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