Oltre ad essere entrato a far parte dello stretto novero dei valori tutelati dalle previsioni costituzionali, lo sport è anche attività di lavoro, che, specialmente per i giovani, consente, in alcuni casi, di avere accesso ad un’attività economica remunerata, capace di costituire la principale fonte di reddito. Inoltre, la disciplina del lavoro sportivo presenta alcuni tratti che potrebbero trovare una diffusione più ampia e generale: infatti, lavoro dipendente e autonomo coesistono, di modo che, ai fini della qualificazione del rapporto, si attribuisce centralità ad un criterio di prevalenza, limitando cioè le tutele proprie del lavoro subordinato solo a quanti facciano dello sport una vera professione. Dal punto di vista previdenziale, poi, anche prima dell’incorporazione nell’INPS dell’ENPALS, tutte le prestazioni erano assoggettate ad un medesimo prelievo contributivo e davano diritto ad una prestazione unica. Ancora: il contratto di apprendistato nello sport è la tipologia centrale e sicuramente meglio remunerata rispetto alle altre ipotesi note nel nostro sistema. E anche se i recenti interventi del legislatore sulla riforma dell’intero settore sportivo non sono sempre stati lineari e hanno conosciuto varie riscritture, si può affermare che lo sport non è solo divertimento, ma può insegnare qualcosa a tutti. In ogni ambito!
Come avviene ogni quattro anni, con una cadenza che solo la pandemia da Covid-19 è riuscita ad alterare, l’estate viene ad essere caratterizzata da grandi eventi sportivi (prima il Giro d’Italia, poi l’Europeo di calcio, il Tour de France, le Gare di tennis a Wimbledon), che culminano, dalla fine di luglio in avanti, nelle Olimpiadi. Queste ultime si riallacciano ad una tradizione antica di due millenni, quando in onore della somma divinità di tutti i greci, anche le guerre si fermavano, in attesa di conoscere chi fosse l’atleta più veloce o più forte.
Non deve stupire, quindi, se lo sport viene ora assimilato alle altre istituzioni culturali, riconoscendo ad esso un “valore educativo, sociale e di promozione del benessere”, poiché per questa via si giunge non solo a tutelare l’enorme potere aggregativo dell’attività agonistica, mettendola così al riparo da strumentalizzazioni in passato non infrequenti, ma perché al contempo si valorizza il contributo che ogni attività fisica dà, sia al miglioramento delle complessiva condizione di vita di ognuno, sia alla crescita dei più giovani, facendo comprendere che l’autodisciplina e il miglioramento di sé stessi sono parte di una sana educazione e che la competitività, se ben intesa, è uno stimolo a fare sempre meglio.
Al contempo, come è emerso con chiarezza dall’ultimo “Europeo” di calcio, lo sport costituisce uno straordinario strumento che serve a garantire nei giovani (e nei tanti tifosi) la condivisione di valori comuni e a tenere (in Italia e nel mondo) una parte della gioventù lontana dai tanti pericoli delle periferie cittadine.
Insomma, il legislatore italiano, invece di riconoscere autonomia normativa ed organizzativa alle Regioni (da esercitare, quindi, soprattutto nel campo del dilettantismo), avrebbe dovuto (anche a beneficio della qualità di gioco della nazionale di calcio!) imporre standard comuni a tutti, al fine di migliorare gli impianti scolastici (e quelli aperti al pubblico) e di incrementarne la diffusione sul tutto il territorio nazionale.
La disciplina del lavoro sportivo, peraltro, presenta alcuni tratti che potrebbero anche trovare una diffusione più ampia e generale. Nello sport, infatti, lavoro dipendente e autonomo coesistono, di modo che, ai fini della qualificazione del rapporto, si attribuisce centralità ad un criterio di prevalenza, limitando cioè le tutele proprie del lavoro subordinato solo a quanti facciano dello sport una vera professione.
Insomma, pare di poter concludere nel senso che lo sport non è solo divertimento, ma che può insegnare qualcosa a tutti, in ogni ambito!
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