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L’abbinamento di sistemi di accumulo sempre più capaci allarga il raggio d’azione delle energie rinnovabili. I risultati raggiunti in California indicano una strada da seguire

Evoluzione e tecnologia non sono ancora in condizione di poter aiutare le energie rinnovabili a superare il principale ostacolo, cioè la difficoltà nel prevedere il livello di produzione e soprattutto calibrarlo in base alla domanda. Una soluzione, però, si sta sempre più confermando come la più adatta e anche la più accessibile: l’utilizzo di sistemi di batterie di grandi capacità e dimensioni per accumulo.

Si tratta di una soluzione non certo nuova, arrivata però in California a inviare un segnale molto interessante. Già da diversi anni ormai, lo Stato sul Pacifico è secondo solo alla Cina per installazione di accumulatori di grandi dimensioni, al punto da aver raggiunto un ottimo livello di compensazione.

In particolare, il picco di consumo registrato localmente tre le 19 e le 22 ha un impatto sempre minore sul ricorso a combustibili fossili. Una ricerca condotta dal New York Times stima, infatti, come l’utilizzo delle batterie e della relativa grid per la distribuzione e consumo a fine aprile abbia toccato il livello massimo del 20%, con un picco di 7.046 MW, vale a dire la produzione media di sette reattori nucleari.

È un segnale importante in particolare per l’evoluzione delle batterie. Nell’applicazione specifica, arrivate ormai a essere delle dimensioni simili a quelle di un container, con un ciclo produttivo sempre più regolare, e non più solo rivolto a produzioni eccezionali.

Grazie anche a questo, negli ultimi tre anni la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili in USA è cresciuta di dieci volte, arrivando a 16mila MW, con la previsione di raddoppiare entro l’anno, grazie all’avvio di nuovi impianti distribuiti, in particolare tra Texas e Arizona, oltre alla stessa California e più in generale, diffusi per buona parte lungo la fascia meridionale dello Stato. È questo un segnale interessante anche per l’Italia, dove sole e vento non mancano di certo, proprio nelle regioni più in difficoltà dal punto di vista dell’economia e con i giusti stimoli potrebbero diventare più competitive.

Sole, vento e batterie: tris vincente in California

Al momento, il riferimento per il settore resta però la California. Sfruttando l’evoluzione di una tecnologia ormai consolidata come le batterie al litio, combinata a una rapida discesa dei prezzi, l’accumulo sta diventando la regola. Grazie alla diffusione di tali sistemi, infatti, si riesce anche a ottimizzare meglio la rete di distribuzione, contrastando o limitando i blackout.

La convinzione della strada intrapresa porta a ritenere a questo punto possibile raggiungere l’obiettivo di una rete elettrica totalmente sostenibile entro il 2045. I primi riscontri sono incoraggianti, nel senso che si iniziano a notare segnali di inversione di tendenza, con i combustibili fossili per produrre energia elettrica in diminuzione.

D’altra parte, per le stesse società di distribuzione le prospettive sono interessanti. Una volta ammortizzato l’investimento per i sistemi di accumulo, significa poter acquistare energia a poco prezzo nei momenti di sovrapproduzione, per rivenderli a cifre sicuramente maggiori nei periodi di scarsità di sole e vento. Inoltre, tutto questo permette di regolare meglio anche la produzione legata ai bacini idroelettrici, aiutando a preservare una risorsa in pericolosa diminuzione.

Non manca tuttavia qualche controindicazione. Per quanto largamente diffusa, la tecnologia gli ioni di litio per le batterie presenta comunque un certo livello di rischio, anche solo dal punto di vista medico. Il pericolo di incendi non è comunque remoto e questo alimenta la diffidenza di tanti residenti destinati a convivere nei pressi di un impianto di accumulo. I provvedimenti e tutti gli accorgimenti mirati a contenere questo rischio non sono ancora in grado di garantire il livello di tranquillità richiesto.

Anche l’aspetto dei sussidi non va trascurato. L’industria petrolifera resta molto forte e in grado di continuare a ricevere stanziamenti, anche solo per garantire posti di lavoro. Come se non bastasse, buona parte delle batterie utilizzate è di produzione cinese, favorendo quindi chi intende mettere la questione sul piano politico.

In attesa di alternative, si dipende troppo dal litio

Dal punto di vista della tecnologia, tuttavia, la strada da percorrere è ancora lunga. Attualmente, infatti, un impianto di accumulo di medie dimensioni agli ioni di litio copre in media non più di quattro ore di fabbisogno in totale autonomia durante le ore di punta. Al momento, la prospettiva è legata solo al calo di prezzo delle batterie, così da arrivare all’obiettivo di dieci ore semplicemente aumentando i moduli.

Ci vorrà infatti ancora qualche tempo prima di vedere arrivare sul mercato alcune delle tante soluzioni promettenti, ma ancora in fase di sviluppo. Tra le più interessanti in fase di sperimentazione attiva c’è il progetto di ESS al servizio della municipalizzata di San Francisco, in grado di garantire dodici ore di autonomia con batterie a flusso, utilizzando elettroliti in forma liquida per la relativa reazione elettrochimica. Ancora più ambiziosa è la soluzione di Form Energy, pronta a coprire una fornitura di cento ore con la tecnologia sicuramente interessante ferro-aria. Vale a dire, in grado di immagazzinare energia attraverso un processo di ossidazione reversibile con un elettrolita a base d’acqua. In pratica, sfruttando la ruggine.

Tra le innovazioni da seguire, un posto lo merita anche Sakuù, uno dei portavoce più interessanti per le tecnologie allo stato solido. Azienda al momento probabilmente più orientata alla mobilità elettrica, ma prossima a una svolta di più ampia portata per quello che riguarda le applicazioni della tecnologia dello stato solido. Con una densità energetica volumetrica di 750 Wh/l e la tenuta per oltre mille cicli di ricarica, l’obiettivo di Sakuù è quello di portare l’autonomia di un veicolo elettrico a mille chilometri, mantenendo il peso al di sotto dei 300 Kg. L’aspetto interessante è anche la modalità del processo sviluppato da Sakuù, con l’utilizzo della stampa 3D per la produzione degli elettrodi, processo utile tra l’altro per realizzare forme personalizzate. Secondo l’azienda, è ormai pronto per essere acquistato da un proprietario di grandi impianti e per essere avviato verso una produzione di serie a prezzi competitivi.

La strada europea passa per l’efficienza dei pannelli fotovoltaici

Sul fronte delle batterie al momento Cina e USA sono sicuramente un passo avanti rispetto all’Europa. Per quanto riguarda invece le tecnologie di produzione sostenibile – pannelli fotovoltaici e sistemi eolici – il Vecchio Continente è sicuramente più competitivo. Sui primi, in particolare, c’è da registrare un importante contributo italiano.

Uno studio condotto dall’Istituto di nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche di Lecce e dal Dipartimento di matematica e fisica Ennio de Giorgi dell’Università del Salento, in collaborazione tra gli altri con l’Università valenciana Jaume I di Castellón de La Plana e l’Università Statale di Campinas, ha dimostrato infatti come sia possibile migliorare le prestazioni delle celle solari semitrasparenti a perovskite attraverso l’interazione della luce in elettrodi trasparenti.

Mediante l’uso di tecniche ellissometriche avanzate, è stata confermata l’ipotesi di poter intervenire sulle modalità di propagazione della radiazione elettromagnetica visibile in elettrodi multistrato composti da strati di ossido e metallo. In pratica, questo ha permesso di realizzare elettrodi trasparenti nel visibile in un ampio intervallo di angoli di incidenza della luce che, opportunamente inseriti in dispositivi optoelettronici come le celle solari a perovskite, permettono di raggiungere prestazioni record in termini di efficienza, di trasparenza e comfort visivo. Uno dei problemi maggiori alla resa dei pannelli fotovoltaici finora è infatti l’opacità degli elettrodi comunemente utilizzati, così come la riduzione dell’efficienza al variare dell’angolo di incidenza dei raggi solari.

La soluzione sviluppata dallo studio congiunto ha consentito invece un totale abbattimento della luce solare riflessa in un ampio intervallo di angoli di incidenza e frequenze ottiche, consentendo di massimizzare non solo la luce solare trasmessa attraverso il dispositivo ma, contemporaneamente, tutte le caratteristiche optoelettroniche della cella: dall’efficienza all’estetica cromatica.

 

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