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L’inflazione è in calo ma le conseguenze si faranno sentire ancora: a farene le spese chi ha scelto il riscatto laurea e anticipo pensione. Male anche il mercato dei mutui

Ci sono primi segnali di indebolimento dell’inflazione ma a luglio è ancora in crescita del 6% dal 6,4% di giugno, tornando allo stesso livello di aprile 2022. Per questo motivo l’effetto sugli assegni pensionistici e sul costo del riscatto della laurea si farà ancora sentire a lungo. Rispetto al picco toccato a fine 2022, oggi l’indice dei prezzi al consumo è dimezzato. Il target della Banca centrale europea (2%), però, rimane lontano, e con un’inflazione media che quest’anno è al 5,6% (nel 2022 è stata dell’8,1%) i contraccolpi sono evidenti. Il primo problema è la perdita del potere d’acquisto, che la rivalutazione delle pensioni non è riuscita a colmare, anche perché gli aumenti di assegno non hanno riguardato tutti allo stesso modo.

Per provare ad anticipare la pensione o provare a rendere più corposo l’assegno di vecchiaia c’è il riscatto della laurea, come spiega Il Messaggero. In alcuni casi può essere molto conveniente, ma l’inflazione cambia i costi. Il riscatto light nel 2019 costava 5.240 euro per ogni anno di studio (15.719 euro su 3 anni), oggi invece il costo è salito a 5.776 euro, nel 2024 dovrebbe arrivare a 6.100. Significa che riscattare un triennio universitario nel 2024 potrebbe costare 18.299 euro. Conviene accedere al riscatto agevolato per chi ha iniziato a lavorare e a studiare dal 1996, altrimenti si può fare con il ricalcolo interamente contributivo. Per chi ha studiato nei primi anni novanta, in certi casi, il riscatto può però addirittura far andare in pensione dopo, perché fa venir meno il requisito di pensione anticipata contributiva.

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Non solo: per raggiungere alcuni obiettivi, come l’anticipo della pensione, oggi chi ha iniziato a lavorare dal 1996 deve versare di più. Secondo le elaborazioni di Smileconomy, se nel 2012 la soglia dell’importo pensionistico (pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale) per poter dire addio al lavoro con 64 anni di età e 20 anni di contributi versati era di 297mila euro, nel 2024, in base all’inflazione annua acquisita finora, bisognerà raggiungere un controvalore di circa 373mila euro. Significa un aumento del 25%: oltre 75mila euro in più. Anche per la pensione di vecchiaia contributiva, a 67 anni d’età, la soglia montante (pari ad almeno 1,5 volte il valore dell’assegno sociale) cresce da 143 mila euro del 2022 ai 181 mila euro del 2024.

L’inflazione ha un contraccolpo importante anche per chi ha redditi elevati e ha iniziato a lavorare a partire dal primo gennaio del 1996. I contributi pensionistici devono essere pagati fino a un massimale contributivo che è legato all’inflazione. Nel 2022 era di 105.014 euro, salito quest’anno a 113.520 euro a causa dell’inflazione del 2022 e nel 2024 potrebbe ulteriormente salire a 119.877 euro. Questa situazione spinge chi è più giovane a dover fare una scelta, usando vari strumenti per pensare subito alla pensione. A partire dal Tfr: nel 2022 quello lasciato in azienda ha offerto un rendimento del 10% circa, mentre i fondi pensione hanno generato perdite tra il 9,8% e l’11,5%. Non è detto, però, che questa situazione prosegua. Nel lungo periodo il vantaggio di un fondo di previdenza integrativa può anche essere doppio rispetto alla liquidazione lasciata in azienda. Serve però mettere i propri soldi in un fondo pensione a rischio alto, utilizzando molte azioni. I rendimenti in questo caso sono elevati. Ma c’è appunto il rischio di perdere anche molto.

Male anche il mercato dei mutui che soffre per la serie di rialzi dei tassi varata dalla Bce per combattere l’inflazione. Il calo della domanda ha colpito specialmente alcune fasce di popolazione, solo mitigato dal sostegno del fondo di garanzia ad esempio sui giovani che siglano prestiti di maggiore durata. E la scelta alternativa dell’affitto è difficoltosa, almeno in alcune zone, a causa dell’aumento dei prezzi. Mentre si profila una pausa dopo l’estate da parte di Francoforte sulla crescita dei tassi, il mercato in Italia risente delle condizioni di offerta più restrittive e del peso dell’inflazione che riduce il reddito disponibile. Nomisma, in uno suo studio, rileva alcune categorie più esposte a questa fase: tra le famiglie numerose una su cinque dichiara di non avere i requisiti per l’accesso al credito (il 21,1% del totale, per la precisione), un valore quasi triplo rispetto al 7,5% della media del campione.

Percentuali più alte rispetto alla media si registrano anche per le famiglie con figli minori (13,1%) e persone sole under 45 (10,7%). E sugli affitti la quota di famiglie che prevedono nei prossimi 12 mesi di poter trovare difficoltà nel regolare pagamento del canone di locazione si è ampliata dal 31,4% al 34,8%. Gli effetti della stretta monetaria erano stati previsti a marzo (prima quindi dei rialzi dei tassi dei mesi successivi) dalle 244 banche sondate dalla Banca d’Italia che ha pubblicato ora i risultati di quella rilevazione. L’analisi sottolinea come nel secondo semestre 2022, di pari passo con i rialzi dei tassi, il mercato ha cambiato passo e la domanda si è arrestata e poi calata. L’Abi, nel commentare i dati, segnala appunto “l’impatto sul livello dei tassi di interesse degli effetti della politica monetaria restrittiva della Bce” e rileva come “i dati indicati riflettono il supporto del mondo bancario in Italia a sostegno delle famiglie”. Anche per questo l’associazione ha promosso nelle scorse settimana “l’adozione da parte dei propri associati di ulteriori misure in favore delle famiglie con mutui a tasso variabile senza cap, al fine di attenuare gli impatti dell’incremento dei tassi d’interesse sull’importo delle rate”. A mitigare gli effetti di questa situazione, nota il rapporto di Via Nazionale “è stato il potenziamento attuato nel biennio 2021-22 dell’operatività del Fondo di garanzia per la prima casa, di cui ha beneficiato soprattutto la clientela più giovane”.

E’ salita inoltre la durata media dei nuovi mutui negli ultimi anni, “superando ampiamente i 24 anni. Quest’ultimo andamento può in parte riflettere l’esigenza di contenere l’importo delle rate di rimborso, in un contesto caratterizzato dall’aumento dei tassi di interesse e dalla ripresa delle quotazioni degli immobili residenziali” e il maggior ricorso dei giovani a mutui con scadenze lunghe. Fortunatamente i due terzi dei mutui in Italia sono a tasso fisso e molti dei variabili hanno un cap. E però per i rimanenti l’aumento della rata è stato a due cifre. Dopo la pressione di governo e forze politiche, l’Abi ha varato una serie di raccomandazioni alle banche associate per alleviare la situazione. Gli strumenti a disposizione vanno dall’allungamento del piano di ammortamento dei finanziamenti per l’acquisto della prima casa; l’ampliamento della platea dei beneficiari della rinegoziazione dei contratti di mutuo ipotecario, introdotta dalla Manovra (ad esempio, ammettendo alla misura anche soggetti con reddito Isee o con mutui di importo più elevato rispetto a quanto previsto dalla legge). L’ulteriore diffusione della conoscenza presso la propria clientela della possibilità di ricorrere Fondo di solidarietà per i mutui per l’acquisto della prima casa (cosiddetto Fondo Gasparrini), al fine di sospendere – al verificarsi di specifici eventi – il pagamento delle rate del finanziamento.



 

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