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L’art. 33 DL 78/2010 conv. in L. 122/2010, allo scopo di scoraggiare modalità remunerative variabili considerate pericolose per la stabilità finanziaria, ha previsto che i compensi corrisposti sotto forma di bonus e stock option ai dirigenti e collaboratori che operano nel settore finanziario sono assoggettati ad un’imposta addizionale del 10%.

Tale imposta, che originariamente si applicava alla quota di compenso eccedente il triplo della remunerazione fissa, a seguito della modifica operata con il DL 98/2011, conv. in L. 111/2011, secondo l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate trova oggi applicazione alla quota di variabile che eccede l’ammontare del trattamento economico fisso.

In realtà, la formulazione letterale dell’art. 33 c. 1, in combinato disposto con il comma 2-bis, condiziona l’applicazione dell’aliquota aggiuntiva alla circostanza che i compensi variabili eccedano il triplo della parte fissa della retribuzione.

Pertanto, solo i “maxi bonus” di oltre tre volte la retribuzione fissa farebbero scattare il presupposto per l’applicazione dell’imposta aggiuntiva del 10% da calcolarsi sulla quota che eccede la stessa retribuzione fissa.

Al contrario, l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate considera implicitamente abrogata la soglia del triplo (cu cui al comma 1), con l’effetto di estendere l’aliquota aggiuntiva a qualunque bonus che superi il valore della retribuzione contrattuale per la parte eccedente.

Per chiarire meglio l’interpretazione della norma assunta dall’Agenzia delle Entrate, possiamo ipotizzare il caso di un dirigente che percepisca una retribuzione annua lorda pari a 100.000,00 euro e che riceva a titolo di bonus un compenso variabile di 120.000,00 euro. La quota di bonus eccedente la retribuzione fissa è pari a 20.000,00 euro lordi. Su questo importo, dedotti gli eventuali contributi previdenziali a carico del dirigente, trova applicazione, in aggiunta all’imposta ordinaria, l’addizionale all’IRPEF del 10%.  

Dal punto di vista soggettivo, l’applicazione della norma è quindi circoscritta al personale dipendente appartenente alla categoria dei Dirigenti e ai titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (inclusi gli amministratori di società) che operano in aziende del “settore finanziario”.

Cosa si intende per settore finanziario

Occorre in primo luogo chiarire il significato di “settore finanziario”. Sebbene la legge non ne definisca esplicitamente la portata, secondo l’Agenzia delle Entrate questo va individuato “nelle banche e negli altri enti finanziari, nonché negli enti e nelle altre società la cui attività consista in via esclusiva o prevalente nell’assunzione di partecipazioni” (cfr. Circ. Agenzia delle Entrate del 4/E/2011). Rientrerebbero quindi nel settore finanziario, a titolo esemplificativo, le banche, le società di gestione (Sgr), le società di intermediazione mobiliare (Sim), gli intermediari finanziari, gli istituti che svolgono attività di emissione di moneta elettronica, nonché le holding che assumono e/o gestiscono partecipazioni in società finanziarie, creditizie o industriali.

Dello stesso parere è anche la Corte di Cassazione che nella recente sentenza n. 21919/2023 ha chiarito che la nozione di settore finanziario va intesa nella sua “globalità e complessità, sì da ricomprendere anche soggetti non necessariamente sottoposti a vigilanza e/o che svolgano attività rivolta al pubblico (come sarebbero le banche o gli altri enti finanziari), stante la ragione socio-economica di un intervento diretto a comprendere tutti quegli attori di compagini che, essendo attive sulla scena finanziaria, sono in grado, direttamente e/o indirettamente, di indurne torsioni pregiudizievoli per effetto di abnormi incentivi retributivi.  

Seguendo tale ragionamento, la Cassazione ha ulteriormente esteso l’ambito soggettivo di applicazione della norma, includendo anche le Società che svolgono “servizi di consulenza e assistenza in materia societaria e finanziaria alle aziende” (Cass. n. 16257/2023). Secondo la Suprema Corte, infatti, la consulenza in materia finanziaria è idonea a generare (attraverso il meccanismo della retribuzione variabile) quegli “effetti economici potenzialmente distorsivi” che la norma mira a contrastare.

Con specifico riferimento al personale interessato dalla disposizione, la Corte Costituzionale ha precisato che l’applicazione dell’addizionale all’IRPEF è limitata solo a quelle figure che, “in ragione del tasso di professionalità, dell’autonomia operativa, del potere decisionale di cui godono e dell’aspirazione a maggiori guadagni personali (per il legame tra l’andamento del titolo da un lato ed il riconoscimento e l’ammontare del beneficio correlato a dette forme di compenso dall’altro), sono in grado di porre in essere attività speculative suscettibili di pregiudicare la stabilità finanziaria” (Corte Costituzionale, Sent. 201/2014).

A nostro parere, pertanto, l’ambito di applicazione della norma dovrebbe essere circoscritto esclusivamente ai dirigenti e ai collaboratori che, in ragione del loro ruolo in azienda, hanno la concreta possibilità di influenzare l’andamento dei mercati finanziari. Non dovrebbe riguardare, di contro, il personale dirigente e i collaboratori che svolgono funzioni in nessun modo riconducibili ai profili “influenti” descritti dal Giudice costituzionale, quali, a titolo meramente esplicativo, i dirigenti con mansioni di gestione del personale o i collaboratori che prestano consulenza in ambito diverso da quello descritto dalla norma.

Nella stessa sentenza, infatti, la Corte Costituzionale ha chiarito che “un rischio di questo genere non ricorre per l’attività degli altri contribuenti che vengono retribuiti in modo analogo ma non hanno la stessa possibilità di incidere, con il loro operato, sulla stabilità dei mercati finanziari.

Tuttavia, né la Giurisprudenza né la prassi amministrativa dell’Agenzia delle Entrate sembrano aver recepito l’indicazione della Corte Costituzionale, dal momento che non hanno mai riconosciuto un diverso trattamento a collaboratori e dirigenti in funzione del loro grado di influenza sui mercati finanziari.

Modalità applicative dell’addizionale all’IRPEF

Dal punto di vista operativo, l’addizionale all’IRPEF trova applicazione sulla quota di retribuzione variabile che eccede l’ammontare della parte fissa annua. Il criterio fornito dall’Agenzia delle Entrate è quello che prevede il raffronto tra le componenti retributive fisse indicate nel contratto di lavoro o di collaborazione e la remunerazione variabile maturata nello stesso anno, indipendentemente dal fatto che tale quota (riconosciuta sotto forma di bonus o stock option) sia corrisposta in un’unica soluzione o in forma rateale, nello stesso periodo d’imposta o in periodi d’imposta differenti. Qualora il compenso variabile sia corrisposto in forma rateale e in più periodi d’imposta, l’addizionale sarà applicata al momento del pagamento del compenso, secondo il principio di cassa.

Precisiamo infine che trattandosi di un’imposta aggiuntiva, l’addizionale all’IRPEF:

  • non concorre all’importo sul quale possono essere fatte valere le eventuali detrazioni d’imposta;
  • non rileva nella determinazione dell’aliquota media da applicare ai fini della tassazione separata;
  • non deve essere considerata nell’imposta italiana che costituisce il limite entro cui può essere attribuito il credito d’imposta per l’imposta pagata all’estero.

 

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