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ROMA . Anche la «Rottamazione quater», che si è conclusa a fine giugno (salvo tre mesi di proroga per le zone colpite da alluvione), in termini di adesione è andata bene, ma non si arriverà a 4 milioni di contribuenti come si sta dicendo, quello dovrebbe essere piuttosto il numero delle cartelle oggetto di sanatoria. Che poi anche in questa occasione entrino davvero i 12,4 miliardi preventivati dal governo e tutto da vedere.

Il problema di queste sanatorie, infatti, è che alla fine dei conti lo Stato – pur sacrificando una montagna di miliardi per effetto della cancellazione di sanzioni, interessi e aggi – ha incassato molto meno del previsto. Questo perché, spiegano gli esperti, in un paese dove condoni e sanatorie si susseguono quasi senza sosta (come dimostra l’uscita di sabato di Matteo Salvini) al contribuente che ha pendenze col Fisco conviene aderire alle iniziative di definizione agevolate (anche se poi non si versano le rate) per buttare la palla avanti, ed in pratica autofinanziarsi a carico dello Stato, in attesa della sanatoria successiva che prima o poi, per una ragione o per l’altra, arriverà.

Mettendo assieme le prime tre rottamazioni del 2017-2018 col «Saldo e stralcio» del 2019 si può infatti notare che a fronte di un lordo complessivo di 100,14 miliardi di tasse lo Stato contava di incassarne poco più della metà, 53,8 miliardi. Ma anche se tanti hanno aderito a queste campagne di «sconti» (oltre 4,1 milioni di contribuenti nel complesso) in pochi hanno pagato: in cassa sono infatti entrati appena 20,28 miliardi di euro (poco più del 20% del totale), mentre l’insieme degli omessi versamenti è stato pari a 33,54 miliardi di euro.

Alla prima rottamazione delle cartelle fiscali, quella del 2017, hanno aderito 1.477.676 italiani a cui facevano capo tasse lorde per un totale di 31 miliardi e 268 milioni di euro, riferiti essenzialmente al periodo 2000-2017. Una volta sottratti da questo importo 7,6 miliardi di sanzioni, 3,86 miliardi di interessi e 2 miliardi di aggi e spese di notifiche, lo Stato avrebbe dovuto incassare in tutto 17,77 miliardi di euro. In realtà ne sono entrati appena 8,37 perché altri 9,5 miliardi di euro non sono stati poi versati.

Anche per questo l’anno seguente si è tentato il bis con la Rottamazione 2. In questo caso, a fronte di un lordo di 14,1 miliardi di euro di tasse ed altre 813.557 adesioni, ci si aspettava di incassare 8,49 miliardi. Nel solo 2018 su 4 miliardi e 62 milioni di euro attesi ne sono entrati solamente due. Spiccioli negli anni seguenti: 174 milioni nel 2019 più altri 160 in seguito ai piani di differimento, 67 nel 2020, 164 nel 2021 e 100 nel 2022. Conclusione: anche in questo giro 5 miliardi e 698 milioni di euro di omessi versamenti.

Si arriva così al terzo intervento di rottamazione, alzando la posta a 43,55 miliardi di tasse lorde da rottamare. Adesioni alte: 1.434.991 contribuenti. Pur buttando nel cestino 8,7 miliardi di sanzioni, 5,6 miliardi di interessi e 2,86 miliardi di aggi e compensi, gli incassi sono risultati sempre modesti, appena 8,5 miliardi di euro a fronte dei 26,3 attesi, con ben 17,78 miliardi di euro di omessi versamenti nonostante fosse stata prevista anche la possibilità di ripescare quei contribuenti che dopo essere stati in regola con le rate sino a tutto il 2019 negli anni successi (2020 e 2021) non avevano rispettato le scadenze successive.

L’ultimo tentativo all’insegna della «pace fiscale», prima di riaprire con la quarta rottamazione, è stato fatto col «Saldo e stralcio» delle cartelle sino a mille euro varato nel 2019. Intervento a cui hanno aderito 385.177 contribuenti nonostante i comuni si siano tenuti ben stretti le loro multe ed abbiamo deciso di non rottamarle.

La posta in palio, in questo caso, valeva appena 1,26 miliardi di euro di incassi previsti dal governo a fronte di un lordo 8/9 volte più grande (9,312 miliardi di euro). Arrivati a fine 2022 il Fisco aveva recuperato, anche in questo caso, appena 689 milioni (301 il primo anno, quindi 130 nel 20220, 242 nel 2021 ed appena 16 nel 2022) dovendo scontare ancora una volta omessi versamenti per 557 milioni di euro.

All’appello dunque mancano oltre 33 miliardi di euro di incassi previsti dai vari governi che si sono succeduti in questi anni. Ed è per questo che di recente la Corte dei Conti ha chiesto di «abbandonare definitivamente il ricorso a provvedimenti che offrono, per le difficoltà del recupero (e per esigenze di bilancio), la definizione agevolata dei debiti iscritti a ruolo». Oltre ad incidere negativamente in termini equitativi e sul contributo di ciascuno al finanziamento dei servizi pubblici, infatti, queste prassi secondo i magistrati contabili rischiano anche «di comportare ulteriori iniquità».

 

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