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Dodici mesi fa, il 10 agosto 2023, ci lasciava a 51 anni Michela Murgia. Il lutto per la morte della scrittrice, che nell’ultimo periodo della sua vita aveva voluto rendere pubblica la malattia che poi l’ha uccisa, ma soprattutto condividere le riflessioni e le scelte della fase finale della sua esistenza con una platea vastissima – sui social e negli eventi pubblici, in festival, incontri e presentazioni, finché la salute glielo ha consentito – fu un vero lutto collettivo. A dimostrazione che ciò che Murgia aveva fatto emergere nei suoi libri, nei suoi pamphlet, nel dialogo intrattenuto con il suo pubblico in tanti modi diversi, andava ben oltre la sua esperienza personale e di attivista e rifletteva un bisogno più vasto di portare nell’arena pubblica temi trascurati dal dibattito politico. Per riflettere ancora sul suo lascito intellettuale, Repubblica offre ai suoi lettori due libri della scrittrice sarda.

Si tratta di Tre ciotole, che è in edicola da oggi con Repubblica, mentre la raccolta postuma Dare la vita sarà disponibile dal 13 agosto (ciascun titolo a 12,90 euro più il prezzo del quotidiano). A leggerli in sequenza non appaiono tanto come due opere separate quanto come un’unica, lunga conversazione dell’autrice con chi legge. L’impressione, leggendoli, è che a Murgia non importasse davvero trovare una categorizzazione precisa per i suoi scritti – storia breve, romanzo, memoir, saggio – quanto piuttosto costruire delle forme, dei recipienti capaci di contenere il flusso del discorso che portava avanti.

In Tre ciotole questo discorso si snoda attraverso dodici narrazioni, dodici racconti concatenati come i mesi del sottotitolo. I personaggi si rincorrono da un luogo all’altro del libro, narrando con tono quotidiano – la forza di Murgia – i dolori e le gioie, quelli sì straordinari, delle nostre esistenze. A partire dall’esperienza personale, da ciò che il corpo e l’anima, che non sono mai due cose separate, si sono trovati ad affrontare nel suo percorso.

Così nel primo racconto la protagonista è una donna di fronte all’oncologo che le sta comunicando la diagnosi di un tumore. Una cosa talmente grande e spaventosa che ciò che la preoccupa non è in quel momento soltanto la prognosi, o gli effetti collaterali delle cure, ma trovare un nome accettabile per comunicare quella diagnosi pesante a chi le vuole bene: rinominare il cancro, dargli un altro senso che non sia solo la paura della morte.

Tre ciotole. In edicola da oggi con Repubblica (a 12,90 euro oltre il prezzo del nostro quotidiano) i racconti che Michela Murgia scrisse nell’ultimo periodo. Rituali per un anno di crisi, come recita il sottotitolo del libro

Tre ciotole. In edicola da oggi con Repubblica (a 12,90 euro oltre il prezzo del nostro quotidiano) i racconti che Michela Murgia scrisse nell’ultimo periodo. Rituali per un anno di crisi, come recita il sottotitolo del libro

 

Lo stesso accade con le tre ciotole del titolo: un rituale, quello di sostituire tre ciotole di ceramica bianca e blu a piatti, apparecchiatura e posate, per imparare di nuovo a nutrirsi dopo uno choc emotivo, rimettendo a posto «tutte le gerarchie tra stomaco e cervello». I rituali, come le vite, si rincorrono: per chiudere davvero una storia d’amore al protagonista di un altro racconto non resta che mettere su una mappa della capitale tutti i luoghi frequentati con la sua ex, e poi ritornarci da solo; è l’unico modo per reimpossessarsi di una Roma nuova, senza di lei.

Ritrovarsi accettando di non essere più ciò che si è stati. Ma anche rinascere, e in senso più lato far rinascere gli altri, dare a se stessi e a chi ci circonda un’altra possibilità, non accettare mai la parola fine: ecco ciò che Murgia chiede a chi la segue lungo la trama tessuta dalle parole. Parole che non sono, come nel passato ha affermato spesso chi la prendeva di mira come bersaglio d’odio, sentenze inamovibili e dogmatiche, ma piuttosto dispositivi per riflettere e mettere in questione lo status quo. Un ruolo che Murgia si era assunta fin dalle sue prime prove letterarie (la sua carriera cominciò infatti con un blog in cui raccontava l’esperienza del lavoro precario in un call center) e che ha portato avanti con caparbietà fino ai suoi ultimi giorni.

Dare la vita. In edicola dal 13 agosto (a 12,90 euro oltre il prezzo del quotidiano) il pamphlet postumo in cui sono riunite le riflessioni raccolte dalla scrittrice sulla maternità e la famiglia queer

Dare la vita. In edicola dal 13 agosto (a 12,90 euro oltre il prezzo del quotidiano) il pamphlet postumo in cui sono riunite le riflessioni raccolte dalla scrittrice sulla maternità e la famiglia queer

 

Si tratta di domande che pochi pongono in una società come quella italiana in cui su molte questioni si tace per convenienza, conformismo, appartenenza ideologica. Domande, scrive Murgia in Dare la vita, il secondo titolo che proponiamo ai lettori di Repubblica, che «sento la responsabilità di porre in questo preciso punto della storia, mia e della comunità in cui mi riconosco. Lo dico da madre d’anima, da membro di una famiglia fatta di legami altri. Le uniche certezze che ho hanno a che fare con la mia esperienza personale e per il resto ho solamente domande».

Un’immagine del murale dedicato a Michela Murgia sull’edificio del V Municipio a Roma e inaugurato a luglio . L’opera dell’artista Laika 1954, “Ricordatemi come vi pare”, è stata promossa da Arcigay Roma e realizzata con il contributo di Einaudi, Mondadori e Rizzoli

Un’immagine del murale dedicato a Michela Murgia sull’edificio del V Municipio a Roma e inaugurato a luglio . L’opera dell’artista Laika 1954, “Ricordatemi come vi pare”, è stata promossa da Arcigay Roma e realizzata con il contributo di Einaudi, Mondadori e Rizzoli

 

In questo volume miscellaneo, che riunisce testi elaborati in un arco di tempo lunghissimo, cuciti insieme sotto un unico titolo nelle ultime settimane di vita, Murgia affronta quello che Alessandro Giammei, suo “figlio d’anima” e curatore del libro, individua come tema centrale: «Alla maternità, alle vie biologiche e d’anima su cui corrono i rami della filiazione, ha dedicato in fondo tutta la propria esistenza relazionale, intellettuale e letteraria – anche laddove, a prima vista, il tema sembra differente». In entrambi i nuclei del libro – una riflessione sulla gestazione per altri e un nucleo di pensieri sulla propria famiglia queer – Murgia parte proprio dalla sua esperienza per invitarci non a condividere tutto ciò che fa o che dice, piuttosto a metterci in discussione, a rivedere le nostre scelte alla luce dei condizionamenti economici e sociali, scoprendoci più liberi di ciò che pensavamo. E di questo coraggio, ricordandola, le siamo grati.

 

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