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REGGIO CALABRIA La Procura generale della Repubblica di Reggio Calabria ha impugnato in Cassazione la sentenza emessa in Corte d’Appello l’11 ottobre 2023 nei riguardi di Mimmo Lucano, al seguito dell’inchiesta “Xenia” su presunte irregolarità nella gestione dei progetti di accoglienza dei migranti nel Comune di Riace, di cui Lucano era il sindaco. Lucano era stato condannato in primo grado a 13 anni di carcere, mentre in Appello la pena era scesa a un anno e sei mesi di reclusione (con pena sospesa) contro la richiesta della procura generale di 10 anni e 5 mesi. Oggi la Procura nel suo ricorso parla di punti valutati non adeguatamente e di responsabilità penali di Lucano e di altre 12 persone assolte in Appello.

Il ricorso

«In particolare – viene evidenziato nel primo punto esposto dalla Procura – il provvedimento risulta affetto da erronea applicazione degli artt. 266, 270, 271 cpp, e da contraddittorietà e illogicità della motivazione per aver ritenuto l’inutilizzabilità delle intercettazioni disposte con riferimento al reato di cui all’art. 640 bis cp; la Corte d’Appello, infatti, ha ritenuto, sulla base di una verifica statica ancorata al momento genetico dell’intercettazione, siccome demandata al giudice, che non fossero presenti i presupposti di legge per disporre ii mezzo di ricerca della prova, sulla scorta di una riqualificazione del reato operata solo nel secondo grado di giudizio (e che peraltro qui si contesta con ii successivo motivo di gravame); la Corte d’appello – con motivazione del tutto illogica – non ha considerato che proprio nel caso in esame la captazione correttamente autorizzata, per come ancor meglio si esporrà più oltre, estata disposta sul presupposto della esistenza di gravi indizi de! reato di cui all’art. 640 bis cp e, pertanto, rimane del tutto insensibile al fisiologico sviluppo del procedimento, secondo il principio di diritto più volte espresso in materia dalla giurisprudenza di legittimità e, peraltro, astrattamente richiamato nella stessa sentenza che qui si chiede di cassare». «Tale questione – continuano gli avvocati – è da ritenersi cruciale nella vicenda processuale che ci occupa, atteso che le gravi irregolarità sulla rendicontazione, attinenti al complesso meccanismo della erogazione di contributi pubblici emerso nel corso delle indagini e su cui è stata resa ampia testimonianza in dibattimento (in particolare Ten. Col. Sportelli e Dott.ssa Maisto), trovano spiegazione logica circa le intenzioni truffaldine solo in esito alla valutazione del compendo probatorio derivante dai dialoghi intercettati, dai quali in modo inequivoco emerge il ruolo centrale nella vicenda del Lucano; in essi, infatti, ripetutamente i conversanti fanno riferimento alla necessità di far confluire anche acquisti e spese non pertinenti alle finalità istituzionali previste dalla legge tutti nella causale relativa al progetto di accoglienza e integrazione in favore dei rifugiati».
«Il Comune di Riace – continua la Procura – per la realizzazione del progetto SPRAR, si spiega nel corpo della richiesta di autorizzazione, riceve annualmente un contributo ministeriale che viene liquidato alle associazioni convenzionate, dopa avere accertato la regolare esecuzione de! servizio e l’invio delle rendicontazioni; si legge sempre nella richiesta del PM che – per come emerso sin dalle prime indagini – le associazioni, di cui si avvale ii Comune per realizzare ii programma di accoglienza integrato dei migranti e l’interesse pubblico cui è preordinato il contributo ministeriale, sono state scelte dal Comune di Riace a chiamata diretta fiduciaria con criteri di selezione personali e discrezionali, e non con l’adozione di una gara ad evidenza pubblica fondata sull’offerta più vantaggiosa economicamente e sull’adeguata competenza e professionalità; in sostanza, pertanto, sin da subito è emerso il ruolo dell’amministrazione comunale e nella specie del Sindaco nella illegittima gestione della procedura prevista per l’erogazione del contributo ministeriale, trasferito solo in un secondo momento alle associazioni in seguito alla attuazione del programma di accoglienza.
Tanto consente di ritenere come non possa dubitarsi che già in quella sede, ossia al momento della richiesta di intercettazione, vi fossero gravi indizi del reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640 bis cp) e non del diverso reato di truffa ex art. 640 comma 2 n. 2 cp, atteso che è proprio l’amministrazione comunale nella persona del Sindaco, con la concorrenza degli esponenti della associazione Citta Futura, ad indurre in errore l’Ente che ha erogato il contributo conseguendo un ingiusto profitto».
Nel secondo punto viene sottolineato come «la decisione che qui si impugna risulta affetta da erronea applicazione degli artt. 640 bis cp, 479, in relazione all’art. 476 comma 2 cp e dell’artt. 192 cpp, e da contraddittorietà e illogicità della motivazione per aver valutato erroneamente le prove raccolte in dibattimento, avendo cosi operato la riqualificazione dei contestati reati di truffa aggravata ex art. 640 bis cp in quelli di truffa ex art. 640 comma 2 n. 1 cp, ed assolto dal reato di falso aggravato ii Lucano, senza, peraltro, osservare l’onere della motivazione rafforzata, che la riforma della pronunzia di primo grado avrebbe richiesto». (f.v.)

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