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Produzione industriale, in Italia scende del -3,2 % rispetto al 2023 #finsubito prestito immediato

La produzione industriale in Italia cala rispetto all’anno precedente, situazione che potrebbe peggiorare con la crisi dell’economia tedesca



Nella giornata della seconda riunione ministeriale del G7 Industria, centrata sull’innovazione tecnologica, è arrivato un dato che delinea la criticità del sistema industriale italiano. Ad agosto, secondo il report dell’Istat pubblicato ieri, 10 ottobre 2024, la produzione industriale è aumentata dello 0,1% su luglio. Ma rispetto allo stesso periodo dello scorso anno ha perso il 3,2% con una riduzione più soft per i beni di consumo (-2%), che ha raggiunto -7,2% per i beni intermedi e -7,3% per quelli strumentali. Positivo solo l’andamento dell’energia (+6%).
Le migliori performance se le aggiudicano fornitura di energia elettrica, gas e vapore (+7,9%), prodotti chimici (+5,2%), industrie alimentari, bevande e tabacco (+1,7%) e legno, carta e stampa (+1,1%). I segni meno più accentuati per fabbricazione di mezzi di trasporto (-14,2%), macchinari e attrezzature (-11,6%), tessile abbigliamento, pelli (-10,8%), metallurgia e prodotti in metallo (-10,1%).

Una situazione dunque che fa scattare il campanello d’allarme. E che rischia di aggravarsi con la crisi persistente in Germania, principale partner commerciale dell’Italia, dove già si registra una preoccupante contrazione delle importazioni.

Mentre anche l’agroalimentare, che ha fatto meglio della media sul mese con +0,4% e ha confermato buoni risultati sull’anno e sul trimestre giugno-agosto rispetto al precedente, potrebbe subire i contraccolpi dell’emergenza che sta attraversando il settore agricolo colpito pesantemente dal maltempo. Le produzioni del Nord e del Centro continuano a essere flagellate dalle bombe d’acqua. Dall’inizio dell’anno, secondo l’analisi di Coldiretti, sui dati Eswd, sono stati 3.100 gli eventi estremi che, insieme alla siccità, hanno provocato danni per 8,5 miliardi.

La situazione produttiva, per molti settori, si presenta dunque complicata. È la valutazione della Confcommercio che spiega come “da tempo l’attività industriale sia sostanzialmente declinante con punte particolarmente accentuate per alcuni beni destinati al consumo finale, nonostante il rimbalzo di agosto, riflettendo le difficoltà della domanda delle famiglie e di molti Paesi in cui è orientato il nostro export”. Di inarrestabile crisi, con il diciannovesimo calo consecutivo su base tendenziale, parla il Codacons. “Nonostante la crescita del potere d’acquisto delle famiglie – evidenzia l’associazione – i consumi non ripartono, con effetti diretti su commercio e industria e sui conti nazionali”. Ancora più drastico il “verdetto” dell’Unione nazionale Consumatori che definisce “il disastroso tonfo della produzione industriale una Caporetto. Sabbie mobili dalle quali si può uscire o sperando che il resto del mondo segni una crescita elevata o rilanciando i consumi degli italiani, ora ridotti alle spese obbligate”,

PRODUZIONE INDUSTRIALE SCENDE IN ITALIA, MOLTI SETTORI IN DIFFICOLTÀ

I consumi restano nell’occhio del ciclone. Una ripresa che tarda ad arrivare. E anche il bilancio del 2023 dell’Istat mette in luce molte ombre. La spesa media delle famiglie è cresciuta del 4,3% rispetto al 2022 (da 2.625 a 2.730 euro). Ma per effetto dell’’inflazione (+5,9% l’aumento su base annua dei prezzi al consumo) in termini reali si è ridotta dell’1,5%. Allargando l’orizzonte l’Istat ha calcolato dal 2018 una riduzione in termini reali del 6,1%.

Un “impoverimento generalizzato” che ha pesato in maniera più forte sulle famiglie dei ceti bassi e medio bassi. Ma che ha interessato comunque anche i livelli medio-alti. Si sono poi ampliate le distanze, in termini reali, tra famiglie più abbienti e meno abbienti. Si attenua invece rispetto al 2022 la differenza tra i diversi territori: il divario tra il top di spesa al Nord e quella minima del Sud si è ridotto dal 36,9% al 35,2%.

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La cartina al tornasole dei guasti fatti dall’inflazione è la contrazione di acquisti di beni alimentari. Il 31,5% delle famiglie intervistate nel 2023 ha dichiarato di aver tagliato qualità e quantità di cibo. Una scelta obbligata per fronteggiare l’impennata dei prezzi (+10,2%) che ha raggiunto +12,9% per l’olio, +12,2% per ortaggi e legumi, + 11,9% per latte, formaggi e uova. Per la carne, che rappresenta il 21% della spesa alimentare, l’aumento è costato 111 euro al mese. Secondo l’analisi dell’Istat “il forte aumento dei prezzi che ha caratterizzato il 2023, seppure in maniera più contenuta rispetto al 2022, è stato fronteggiato dalle famiglie risparmiando meno o attingendo ai risparmi, ma anche modificando le proprie abitudini di consumo”.

RISTORAZIONE E ALLOGGI, AUMENTI MAGGIORI AL SUD

La spesa non alimentare è cresciuta del 3,2% rispetto al 2022 con aumenti di circa il 5% nel Centro e nelle Isole. E i rialzi maggiori riguardano soprattutto i servizi di ristorazione e di alloggio (+16,5%, 156 euro mensili), i beni e servizi per la cura della persona, di protezione sociale e altri (+14,5%, 138 euro), servizi assicurativi e finanziari (+14,1%, 76 euro) e per ricreazione, sport e cultura (+10,8%, 102 euro). Ma si tratta di un recupero delle spese che avevano fatto i conti con la pandemia del 2022 e le limitazioni dell’anno successivo. E per quanto riguarda in particolare ristorazione e alloggi ad aumentare di più la spesa è stato il Sud (+25,7%), seguito dalla isole.

Un dato che evidenzia le difficoltà affrontate dalle famiglie è l’aumento del peso dei prodotti alimentari (19,2%) sugli acquisti totali. In termini di composizione di spesa i prodotti alimentari (22,5%) incidono soprattutto tra le famiglie con tre o più figli, mentre per le coppie senza figli scendono al 14,1%. E sono i single e giovani che “investono” le maggiori risorse in ristoranti e hotel. Un altro elemento significativo è la crescita della spesa proporzionalmente al livello di istruzione della persona di riferimento della famiglia. Si passa infatti da 1.784 euro mensili con la licenza elementare a 3.722 con laurea e titolo post laurea. A influenzare gli acquisti anche la professione. Spendono infatti di più imprenditori e liberi professionisti rispetto ai dipendenti dirigenti, quadri o impiegati. Non si amplia invece il divario tra famiglie di italiani o con stranieri.


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