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DAZI e STELLANTIS: Sapelli dice “L’UE ha fallito”, industria a rischio per Cina e USA! #finsubito prestito immediato


Durante il Salone di Parigi, Carlo Tavares ha illustrato che la stabilità economica di Stellantis non si basa esclusivamente sulla riduzione del personale. Tuttavia, come ha menzionato in un’intervista a Les Echos, “non riesco a vedere come possiamo competere con avversari che, dal punto di vista tecnologico, sono altrettanto capaci o persino superiori a noi (riferendosi ai produttori cinesi), e che hanno costi inferiori del 30%, se non posso diminuire le spese”. Queste osservazioni seguono le affermazioni fatte durante una sessione alla Camera, dove l’amministratore delegato di Stellantis ha sottolineato che la produzione di veicoli elettrici comporta “un incremento dei costi del 40%” rispetto a quelli a combustione interna e ha pertanto “richiesto” incentivi statali per permettere agli italiani di acquistarli. Queste dichiarazioni sono state criticate da Emanuele Orsini, che ha affermato: “È essenziale mantenere le produzioni in Italia, ma richiedere ulteriori incentivi mi sembra francamente assurdo”. Il presidente di Confindustria ha anche indicato che la “situazione attuale nel settore automobilistico è frutto delle decisioni prese dalla precedente Commissione europea sulla transizione e sul Green Deal”. Secondo lui, è urgente rivedere le normative sul divieto di vendita di auto a combustione interna dal 2035 per “proteggere l’industria italiana”. Abbiamo richiesto un commento a Giulio Sapelli, Professore emerito di Storia economica alla Statale di Milano.



Qual è la sua opinione sulle dichiarazioni di Orsini?

Da una parte, apprezzo che Confindustria critichi la regolamentazione eccessiva dell’economia europea da parte di Bruxelles. Dall’altra, concordo con Orsini riguardo agli incentivi, in quanto gli aiuti statali che beneficiano le grandi industrie impediscono l’elaborazione di una politica economica articolata e diversificata che consideri tutte le imprese, incluse le PMI.



Quanto influisce, nella critica di Orsini, il fatto che Stellantis non sia parte di Confindustria dato che Fiat ne è uscita nel 2012?

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Moltissimo. L’uscita da Confindustria è stata un errore, un affronto prima alla nazione che a viale dell’Astronomia. Una grande industria come la Fiat, che ha beneficiato di finanziamenti statali per anni, decide di non aderire più a Confindustria? È stata una follia, che ha indebolito il settore industriale.

Resta il fatto che Tavares affronta un problema di costi che deve ridurre, e ciò potrebbe mettere a rischio la produzione in Italia e in altri Paesi europei…



Essendo in un mercato libero, comprendo che per abbassare i costi possa considerare la delocalizzazione. Tuttavia, ci troviamo di fronte alle conseguenze di una politica decennale di negligenza e di mancata comprensione delle dinamiche mondiali.

In che modo?

I dirigenti e i gruppi industriali avrebbero dovuto svegliarsi prima. Da anni persone come me denunciano che questa politica di transizione imposta dall’alto dall’UE non è sostenibile.

Perché Stellantis, così come i produttori tedeschi ed europei, non chiedono però una revisione degli obiettivi imposti da Bruxelles, come invece vorrebbe il governo italiano e Confindustria?

È un errore molto grave, derivante anche dall’esistenza di un blocco industriale-statale franco-tedesco, tutt’altro che liberale, che domina l’UE in assenza di una Costituzione europea. È necessario un cambio di direzione, perché questa politica di blocco senza Costituzione e con forte pressione lobbistica sta presentando il conto: la Cina, a cui sono state erroneamente aperte le porte della WTO nel 2001, sta per spazzarli via.

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A proposito, i produttori tedeschi si oppongono anche ai dazi sulle auto elettriche cinesi.

Sono contrari perché temono che in risposta il mercato cinese, su cui hanno puntato tutto con una politica devastante e suicida basata sull’export, possa chiudersi. Ritengo che una guerra commerciale, se gestita con intelligenza, non sia dannosa. Bisognerebbe pensare a una politica di protezionismo differenziato e selettivo.

Il futuro dell’industria europea è compromesso?

No, ma certamente non è sostenibile continuare a puntare su bassi salari ed esportazioni, trascurando il mercato interno. È necessario cambiare lentamente politica, coordinandosi con imprese e sindacati. Tuttavia, non possiamo ignorare un problema relativo ai dirigenti, che oggi sanno solo seguire gli ordini degli azionisti.

È necessario rivedere il Green Deal europeo…

Sì, ma è altrettanto cruciale rivedere la politica errata e devastante perseguita dal settore industriale che ha puntato su bassi salari, tecnologia non innovativa e mancanza di partecipazione sociale.

Non c’è anche un problema, specialmente in Italia, legato al costo dell’energia?

Il livello dei costi energetici dipende dal fatto che oggi ci troviamo in un contesto di guerra e gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni contro la Russia. La responsabilità, quindi, è di chi domina il mondo in modo imperfetto e riluttante come gli USA, che hanno tutto l’interesse a indebolire l’industria europea, colpendo in particolare quella tedesca: sanno che in questo modo si indebolisce non solo l’Europa, ma anche la Russia, lasciando la Cina come unico competitor.

Parlando di questioni industriali italiane, tra poche ore verrà riattivato l’Altoforno 1 dell’ex Ilva di Taranto, ma ci sono opposizioni che ricordano i danni alla salute e all’ambiente causati dall’impianto. Qual è la sua opinione?

La siderurgia non è necessariamente sinonimo di inquinamento. Certamente, se dieci anni fa, invece di ArcelorMittal, fosse stata scelta la cordata italiana con Arvedi, che utilizza l’idrogeno verde, oggi ci troveremmo in una situazione diversa. Spero quindi che, con tutte le precauzioni necessarie dal punto di vista ambientale, l’impianto possa tornare a operare a pieno regime, perché altrimenti resteremo esclusi dalla ricostruzione dei Paesi mediorientali che continuano a essere distrutti, come di fatto volevano gli ex gestori franco-indiani, e dell’Ucraina.

Chi sarebbe meglio acquisisse ora l’acciaieria di Taranto?

La proprietà puramente capitalistica non può gestire un’industria sostenibile dal punto di vista ambientale. È necessario cambiare il criterio di proprietà. Seguendo quanto sostenuto da Elinor Ostrom, premio Nobel per l’Economia nel 2009, riguardo la gestione dei beni comuni, si dovrebbe pensare a un intervento pubblico comunitario, per esempio tramite una fondazione non profit, che reinvesta gli utili nella manutenzione e nel continuo rinnovo degli impianti.

Cosa ci insegnano le vicende dell’industria automobilistica europea e dell’ex Ilva di Taranto?

Il fallimento delle classi dirigenti europee, soprattutto quelle della burocrazia celeste UE che ha portato l’Europa alla rovina. Siamo di fronte alla prova che senza una Costituzione l’Unione non può progredire.

(Lorenzo Torrisi)

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Tags: Carlos TavaresConfindustria



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