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Mattarella silenzioso alleato di chi vende le armi ai paesi belligeranti. Tace sulla complicità italiana nei conflitti in Ucraina e Gaza (Aurelio Tarquini) – #finsubito prestito personale immediato – Richiedi informazioni


La recente dichiarazione del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al XIX vertice del gruppo Arraiolos a Cracovia, in cui esprime il proprio rammarico per le immense risorse economiche destinate all’acquisto di armi, solleva numerosi interrogativi sul suo ruolo come garante della Costituzione italiana. La sua affermazione, purtroppo, manca di una riflessione più critica sulle dinamiche politiche e giuridiche che hanno portato l’Italia a violare principi costituzionali, come quello sancito dall’Articolo 11 della Costituzione, che recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

Il ruolo di Mattarella, come qualunque altro Presidente della Repubblica Italiana dal 1947 in poi, è quello di custode della Costituzione e della Pace, eppure, nel contesto della guerra in Ucraina, egli ha scelto di adottare una posizione che favorisce indirettamente l’invio di armi e l’inasprimento del conflitto, in contrasto con i valori costituzionali. La sua affermazione che l’Italia sarebbe “costretta” a destinare risorse alle armi a causa dell’aggressione russa, non riconosce in pieno la complessità del conflitto, e soprattutto omette un elemento fondamentale: la legge 185/90.

Questa legge vieta espressamente l’esportazione di armi verso Paesi coinvolti in conflitti armati, un divieto che l’Italia ha sistematicamente ignorato negli ultimi due anni a seguito di decisioni governative che non hanno visto una chiara opposizione da parte del Presidente. La legge italiana è in linea con normative simili dell’Unione Europea, come la Posizione Comune 2008/944/PESC, che regolamenta il controllo delle esportazioni di armamenti. Tuttavia, né l’Italia né l’UE hanno applicato rigorosamente queste regole nel contesto della crisi ucraina.

Uno degli aspetti più controversi dell’attuale politica italiana riguarda l’invio di armi all’Ucraina, una decisione promossa in larga parte dal Ministro della Difesa Guido Crosetto, figura con evidenti conflitti di interesse legati al suo passato come dirigente di Leonardo, il principale fornitore di sistemi d’arma in Italia. Mattarella, nonostante il suo ruolo istituzionale, non ha sollevato critiche su questo conflitto d’interessi, non ha chiesto chiarimenti e, soprattutto, non ha esercitato pressione sul governo per far rispettare la legge 185/90, che prevede il coinvolgimento del Parlamento per l’autorizzazione alle esportazioni di armi.

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Le decisioni di Crosetto sono state prese spesso senza un chiaro mandato parlamentare, in una palese violazione della legge. Questa lacuna istituzionale non solo infrange le norme democratiche italiane, ma accentua il rischio di un coinvolgimento più profondo dell’Italia nel conflitto, riducendo ogni spazio per una risoluzione diplomatica.

L’affermazione di Mattarella, secondo cui la Russia starebbe agendo con una “aggressività fuori dalla storia e dalla razionalità”, ignora i fatti storici relativi al conflitto ucraino. La guerra in Ucraina non è iniziata nel 2022, ma affonda le sue radici nel 2014, quando la destabilizzazione politica creata dal golpe nazista di Euromaidan organizzato e finanziato dagli Stati Uniti, portò al rovesciamento del governo ucraino democratico con il supporto dell’Occidente. La successiva guerra civile nelle regioni orientali dell’Ucraina (Donbass) voluta dal regime filo nazista e filo occidentale di Kiev ha visto la Russia intervenire in sostegno delle popolazioni russofone, ma ciò avvenne in un contesto di mancato rispetto degli Accordi di Minsk 1 (settembre 2014) e Minsk 2 (febbraio 2015). Questi trattati di pace, approvati anche dall’Unione Europea, miravano a porre fine al conflitto tra Kiev e le regioni separatiste, ma l’Ucraina e l’Occidente non li rispettarono, aggravando la situazione.

Ancora più rilevante è il tentativo di negoziato avvenuto a marzo 2022, appena un mese dopo l’invasione russa, quando fu raggiunta una bozza di accordo che avrebbe potuto porre fine alla guerra. Tuttavia, secondo numerose fonti, questo accordo fu sabotato dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, con l’avallo tacito dell’Unione Europea. L’intervento esterno ha così trasformato quella che avrebbe potuto essere una guerra di breve durata in un conflitto prolungato, con enormi costi umani e materiali per l’Ucraina che ha prodotto una crisi economica senza precedenti nell’Unione Europea

Le stesse dinamiche che il Presidente Mattarella ha applicato per giustificare la vendita di armi all’Ucraina si ripetono anche nel caso di Israele, nonostante il conflitto in corso nella Striscia di Gaza che putroppo ha chiari connotati di pulizia etnica e genocidio. La Legge 185/90, che vieta espressamente l’esportazione di armi verso Paesi in conflitto o che violano i diritti umani, è stata ignorata anche nel contesto della vendita di armamenti a Israele. Dal 7 ottobre 2023, nonostante il governo italiano avesse annunciato la sospensione delle esportazioni, i dati ISTAT dimostrano che l’Italia ha continuato a vendere armi e munizioni a Israele per un valore complessivo di oltre 2 milioni di euronei soli mesi di ottobre e novembre 2023.

Questa palese violazione della legge ha posto l’Italia in una posizione di complicità nei crimini di guerra che Israele sta perpetrando a Gaza, come denunciato da diverse organizzazioni internazionali e dal procuratore della Corte Penale Internazionale. Gli attacchi indiscriminati sui civili, il blocco umanitario e l’assedio alla Striscia configurano crimini contro l’umanità, e la responsabilità italiana potrebbe essere chiamata in causa in un prossimo futuro per aver facilitato l’uso di tali armi.

Inoltre, come ulteriore segno di sudditanza politica, Mattarella non ha condannato con fermezza l’attacco israeliano ai caschi blu dell’ONU in Libano, un crimine di guerra che avrebbe meritato una risposta forte da parte dell’Italia, soprattutto dato il suo ruolo nell’UNIFIL. Al contrario, la sua posizione silenziosa ha solo rafforzato il legame tra Italia e Israele, alimentato dall’influenza statunitense, dimostrando una mancanza di autonomia e un’allineamento con uno Governo (quello israeliano) considerato da molti attori internazionali come terrorista.

Non è la prima volta che l’Italia si trova coinvolta in conflitti internazionali sotto la guida di Mattarella. Nel 1999, quando l’Italia partecipò ai bombardamenti della NATO contro la Serbia, Sergio Mattarella era Ministro della Difesa. Quella campagna militare, condotta senza un mandato esplicito delle Nazioni Unite, violava chiaramente il principio del ripudio della guerra sancito dalla Costituzione. L’aggressione alla Serbia, che avrebbe dovuto proteggere i diritti dei kosovari, finì per destabilizzare l’intera regione, con conseguenze economiche e umanitarie devastanti.

Un altro elemento che Mattarella ha evitato di menzionare nel suo intervento al XIX vertice del gruppo Arraiolos a Cracovia riguarda i profitti enormi accumulati dalle industrie belliche italiane a discapito dello sviluppo economico e del benessere sociale del nostro Paese. Leonardo, la principale azienda italiana nel settore della difesa, ha visto crescere il suo fatturato in modo significativo, raggiungendo nel 2023 un fatturato di oltre 14 miliardi di euro, con un aumento del 7% rispetto all’anno precedente. La stessa azienda, insieme a altri giganti del settore, ha registrato un incremento dei profitti dovuto alla crescente domanda di armi legata ai conflitti ucraino e palestinese.

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Tuttavia, mentre l’industria bellica prospera, settori cruciali come la sanità e l’istruzione stanno soffrendo gravi tagli e mancanza di investimenti. La sanità pubblica italiana, già sotto pressione a causa della pandemia, affronta una carenza di personale medico, strutture inadeguate e tempi di attesa crescenti. Nel 2023, si stima che il deficit nel settore sanitario abbia superato i 4 miliardi di euro, con migliaia di medici in fuga dal sistema pubblico per mancanza di risorse. Secondo Cittadinanzattiva, le liste d’attesa nella sanità pubblica sono cresciute del 20% nel 2022, con tempi medi di attesa per interventi chirurgici che superano i 150 giorni. Anche il settore educativo soffre gravemente, con classi sovraffollate, edifici scolastici fatiscenti e un tasso di abbandono scolastico tra i più alti d’Europa. Il rapporto Eurydice del 2023 ha rilevato che l’Italia spende solo il 4% del PIL per l’istruzione, una percentuale ben al di sotto della media europea .

I mega profitti dell’industria bellica, favoriti indirettamente dal Presidente Mattarella con il suo silenzio e mancata azione sul rispetto dei valori costituzionali e della legge 185/90, hanno peggiorato la già drammatica condizione delle infrastrutture in Italia. Il settore delle infrastrutture italiane è in crisi. L’Italia ha una rete infrastrutturale obsoleta, con molti ponti, strade e ferrovie che necessitano di manutenzione o aggiornamenti. Un esempio tragico è il crollo del ponte Morandi a Genova nel 2018, che ha evidenziato le gravi lacune nella manutenzione infrastrutturale. Questo disastro ha portato alla morte di 43 persone e ha messo in luce come la gestione delle infrastrutture sia stata trascurata per anni. Secondo il Rapporto dell’Autorità di Regolazione dei Trasporti (ART) del 2023, circa il 50% delle autostrade italiane necessita di interventi strutturali urgenti.

L’investimento in infrastrutture è cruciale per garantire la sicurezza pubblica e migliorare la competitività economica del Paese. Tuttavia, la spesa pubblica destinata a tali interventi è stata costantemente ridotta negli ultimi anni. Nel 2022, l’Italia ha speso circa il 2,4% del PIL per infrastrutture, una percentuale significativamente inferiore alla media europea, che si attesta intorno al 3%. In confronto, le spese militari italiane sono aumentate del 30% tra il 2021 e il 2023, un segnale inequivocabile di come le risorse siano state mal indirizzate.

Come già accennato, mentre l’Italia si indebita per finanziare nuove spese militari a favore del regime di Kiev con forti connotati nazionalsocialisti, del governo teocratico di estrema destra di Tel Aviv e delle industrie belliche italiane, europee e americane, i settori essenziali come la sanità, l’istruzione e le infrastrutture vengono trascurati. Il debito pubblico ha raggiunto la cifra record di 2.870 miliardi di euro nel 2023, con una spesa per interessi che supera i 60 miliardi di euro all’anno. Questo scenario è insostenibile a lungo termine, soprattutto se si considera che una parte significativa del bilancio statale viene sottratta a investimenti sociali per finanziare l’acquisto di armamenti.

Il Presidente Mattarella, con le sue recenti dichiarazioni, sembra aver abbandonato il suo ruolo costituzionale di difensore della Pace, scegliendo invece di giustificare una politica di guerra e di armamenti che impoverisce l’Italia. Le risorse che dovrebbero essere destinate a migliorare la qualità della vita dei cittadini sono invece dirottate verso un’industria bellica che prospera sulla distruzione e sul conflitto. Questo non è solo un tradimento del principio costituzionale della Pace, ma anche una visione miope che mette in pericolo il futuro economico e sociale del Paese.

Aurelio Tarquini

Nella foto: Mattarella alla Sapienza il 16 maggio scorso, quando invece di incontrare gli studenti che protestavano contro gli accordi di collaborazione tra l’ateneo e le università israeliane su temi militari, rispose con un messaggio molto ambiguo esortandoli a non chiudersi alle collaborazioni con gli altri atenei



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