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Esercizio di azione di risoluzione e applicabilità della disciplina del codice del consumo all’operazione di leasing finanziario #finsubito prestito immediato


Sotto il profilo del presupposto soggettivo di applicabilità della disciplina del codice del consumo, “l’operazione di leasing finanziario si caratterizza per l’esistenza di un collegamento negoziale tra il contratto di leasing propriamente detto, concluso tra concedente ed utilizzatore, e quello di fornitura, concluso tra concedente e fornitore allo scopo (noto a quest’ultimo) di soddisfare l’interesse dell’utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa, in forza del quale, ferma restando l’individualità propria di ciascun tipo negoziale, l’utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto.

In mancanza di un’espressa previsione normativa al riguardo, l’utilizzatore non può, invece, esercitare l’azione di risoluzione (o di riduzione del prezzo) del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente (cui esso è estraneo) se non in presenza di specifica clausola contrattuale, con la quale gli venga dal concedente trasferita la propria posizione sostanziale, restando il relativo accertamento rimesso al giudice di merito poiché riguarda non la legitimatio ad causam ma la titolarità attiva del rapporto”.

E’ quanto ha stabilito la Corte di cassazione, Sezione 3 Civile, con l’ordinanza del 27 settembre 2024, n. 25869, mediante la quale ha rigettato il ricorso e confermato la sentenza della Corte d’Appello di Catania n. 120 del 2021.

La vicenda

In data 04/2010, Pompeo Muzio stipulò con la società Fineco Leasing s.p.a. un contratto di locazione finanziaria avente ad oggetto un’imbarcazione costruita dal Cantiere nautico Kappa s.p.a., da quest’ultima venduta alla società concedente.

Con atto di citazione in data 11/2013, deducendo l’anomala presenza di fumi di scarico all’interno della cabina (che persistevano nonostante gli interventi manutentivi posti in essere da Kappa S.p.a.), Pompeo Muzio agì per la risoluzione ex art. 1492 c.c. del contratto di vendita stipulato tra il fornitore e il concedente, domandando altresì il risarcimento dei danni patrimoniali (pari al rimborso delle rate versate) e non patrimoniali.

Il concedente, costituitosi in giudizio, “ratificò” l’azione promossa dall’utilizzatore nei confronti del venditore e, per l’ipotesi in cui fosse stata rigettata, dedusse l’intervenuta risoluzione del contratto di leasing ex art. 1456, comma 2, c.c., per mancato pagamento delle rate, conseguentemente invocando la condanna di Pompeo Muzio al pagamento dei canoni dovuti fino alla risoluzione, oltre che delle altre somme di cui all’art. 19, lett. b), delle condizioni generali di contratto.

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Il Tribunale di Catania accolse, da un lato, la domanda di risoluzione del contratto di compravendita, condannando Kappa S.p.a. al risarcimento del danno patrimoniale patito dall’attore per € 611.640,00 e, dall’altro, la domanda di risoluzione del contratto di leasing, con conseguente condanna in solido di Pompeo Muzio e Kappa S.p.a. al risarcimento del danno patrimoniale patito dalla società concedente, quantificato in € 526.005,00. Sancì, infine, in capo a Kappa S.p.a., l’obbligo di tenere indenne Pompeo Muzio dalla suddetta condanna.

La Corte d’Appello di Catania con la sentenza n. 120 del 2021, ha riformato la decisione di primo grado, ritenendo maturato il termine annuale di prescrizione dell’azione ex art. 1495 c.c. (decorrente dalla consegna del bene), dal momento che il processo era stato instaurato in data 18/11/2013, a fronte della consegna dell’imbarcazione il 13/04/2010.

Con riguardo ai numerosi atti interruttivi della prescrizione allegati dall’utilizzatore, i giudici di secondo grado hanno ritenuto che, a tutto concedere, l’ultimo idoneo allo scopo poteva identificarsi nella riparazione eseguita da Kappa S.p.a. nel 2011, rispetto alla quale non tempestiva doveva considerarsi la successiva lettera di costituzione in mora inviata da Pompeo Muzio in data 16/04/2013.

Gli ulteriori asseriti atti, invece, in nessun caso potevano ritenersi utili ai sensi dell’art. 2943 c.c., da un lato perché le comunicazioni inviate da Pompeo Muzio non erano indirizzate al legale rappresentante o a un rappresentante specificamente designato da Kappa S.p.a. e non manifestavano la volontà specifica di avvalersi del contenuto tipico della garanzia.

Dall’altro, perché le risposte di Kappa S.p.a. “non comportavano ricognizione del diritto di garanzia ma al più dei vizi denunciati” (pag. 14 della sentenza impugnata).

Conseguentemente, con sentenza non definitiva la Corte d’appello ha dichiarato l’avvenuta risoluzione del contratto di leasing e condannato l’utilizzatore alla restituzione del bene, contestualmente rimettendo la causa sul ruolo per l’espletamento di una c.t.u. volta alla determinazione del credito del concedente (legittimamente parametrato, alla stregua delle clausole contrattuali, all’importo dei canoni scaduti e a scadere e al prezzo d’opzione, previa detrazione del ricavato della vendita del bene stesso o del suo valore).

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, Pompeo Muzio.

I motivi di ricorso

Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 2943, comma 4, c.c., per non avere ritenuto idonee, a fini interruttivi della prescrizione, le comunicazioni inviate da Pompeo Muzio all’ufficio “customer care del cantiere, e non aver qualificato alla stregua di riconoscimento del diritto il contegno di Kappa S.p.a., intervenuta per ben tre volte al fine di apportare riparazioni all’imbarcazione.

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Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 130 e 132 del d.lgs. n. 206/2005 (codice del consumo), i quali (nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dal d.lgs. n. 170/2021) prevedevano un termine di prescrizione biennale (in realtà, l’art. 132, comma 4, faceva riferimento a ventisei mesi) per l’azione di prescrizione.

La decisione in sintesi

La Corte di cassazione, con la citata ordinanza n. 25869 del 2024, ha ritenuto il primo motivo non fondato e il secondo inammissibile e non fondato e ha rigettato il ricorso così confermando le statuizioni rese dalla sentenza impugnata.

La motivazione

Quanto al primo motivo, il Collegio ha osservato che affinché l’atto notificato a persona diversa dal debitore abbia efficacia interruttiva della prescrizione, è necessario che il destinatario sia rappresentante (effettivo o apparente) del debitore medesimo (Corte di cassazione, n. 41423/2021; in precedenza Corte di cassazione, n. 5208/2015).

Ebbene, nel ricorso (e pure nella comparsa conclusionale in appello, all’uopo richiamata nel ricorso stesso) non viene compiutamente trascritto il testo delle comunicazioni, né indicata con precisione l’identità dei destinatari, limitandosi il ricorrente ad affermare che essi “erano parte dell’ufficio appositamente incaricato (denominato customer care) dalla ditta costruttrice per la gestione della vicenda, ovvero ancora erano soggetti che evidentemente erano stati personalmente incaricati da Kappa S.p.a. per cercare una soluzione risolutoria delle problematiche evidenziate dal cliente insoddisfatto” (pagg. 12 e s.).

Anche sotto il profilo del contenuto, non è possibile apprezzare se le comunicazioni suddette fossero tali da manifestare l’intenzione di esercitare il diritto.

Quanto agli interventi di riparazione, è pur vero che, secondo Corte di cassazione, n. 33380/2023, “il comportamento del venditore – nella specie consistito in successivi interventi di riparazione della cosa venduta – è incompatibile con la volontà di contestare l’esistenza dei vizi e costituisce, ai sensi dell’art. 2944 c.c., atto idoneo ad interrompere la prescrizione dell’azione di garanzia, di cui all’art. 1495, comma 3, c.c.” (si veda anche, in relazione però alla decadenza, Corte di cassazione, n. 8775/2024).

Tuttavia, nel caso in esame, tale regula juris non è utile al ricorrente, posto che la sentenza di merito ha ritenuto decorso il termine di prescrizione anche considerando efficace, ai fini de quibus, l’intervento di riparazione dell’estate del 2011, dopo il quale non è stato dedotto dal ricorrente se e quando ne siano stati effettuati altri.

Quanto al secondo motivo, il Collegio ha rilevato che esso poteva astrattamente condurre alla cassazione della sentenza impugnata solo nel caso in cui si ritenesse che il giudice di merito avesse individuato il dies a quo della prescrizione in quello in cui fu effettuato l’intervento riparatore di Kappa S.p.a. nell’estate 2011 (posto che, dal momento della consegna del bene – avvenuta il 13/04/2010 – a quello della diffida del 16/04/2013 i ventisei mesi in questione erano già decorsi).

A prescindere da ciò, il ricorrente non ha indicato “quando”, “dove” e in che termini, in seno al giudizio di merito, ha posto la questione (salva la menzione – a pag. 16 del ricorso – della comparsa conclusionale e della memoria di replica in appello, le quali evidentemente integrano scansioni processuali intempestive allo scopo).

In ogni caso, a fronte dell’omissione di pronuncia della Corte d’appello, il ricorrente avrebbe dovuto censurare la sentenza di merito per violazione dell’art. 112 c.p.c., sicché, da tale angolo visuale, il motivo si mostra inammissibile.

Peraltro, sotto il profilo del presupposto soggettivo di applicabilità della disciplina del codice del consumo, occorre considerare come, alla stregua di Corte di cassazione, Sez. Un., n. 19785/2015, “l’operazione di leasing finanziario si caratterizza per l’esistenza di un collegamento negoziale tra il contratto di leasing propriamente detto, concluso tra concedente ed utilizzatore, e quello di fornitura, concluso tra concedente e fornitore allo scopo (noto a quest’ultimo) di soddisfare l’interesse dell’utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa, in forza del quale, ferma restando l’individualità propria di ciascun tipo negoziale, l’utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all’adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto.

In mancanza di un’espressa previsione normativa al riguardo, l’utilizzatore non può, invece, esercitare l’azione di risoluzione (o di riduzione del prezzo) del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente (cui esso è estraneo) se non in presenza di specifica clausola contrattuale, con la quale gli venga dal concedente trasferita la propria posizione sostanziale, restando il relativo accertamento rimesso al giudice di merito poiché riguarda non la legitimatio ad causam ma la titolarità attiva del rapporto”.

Nel caso in esame, l’utilizzatore ha fatto valere la risoluzione del contratto di compravendita (nell’ottica dell’art. 130 cod. cons., verosimilmente sulla base dell’implicita deduzione dell’insuccesso dei tentativi di ripristino), senza però allegare l’avvenuta cessione in suo favore, in seno al contratto di leasing, della relativa azione da parte della società concedente (e ciò al di là dell’ulteriore problema di stabilire se la cessione in discorso, anche ove in ipotesi intervenuta, non precludesse comunque all’utilizzatore la spendita delle prerogative “consumeristiche”, facendolo subentrare nel diritto alla risoluzione spettante ad un soggetto – il concedente – certamente non qualificabile come consumatore).

Ecco il link alla decisione: Corte di cassazione, Sezione 3 Civile, ordinanza del 27 settembre 2024, n. 25869

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