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A Trento anche l’Anas: la sicurezza stradale con Biaggi e Somaschini #finsubito prestito immediato – richiedi informazioni –


I due piloti hanno rispolverato vecchi ricordi. Sul palco presente anche l’Anas per fare il punto su incidenti e strategie per ridurli




Giornalista

Ogni anno in Italia circa 3000 persone muoiono per incidenti stradali. Il 93% causati dalla distrazione alla guida. Al Festival dello Sport di Trento si parla anche di sicurezza stradale nell’ambito del talk Anas su potenza e controllo condotto da Rachele Sangiuliano con ospiti Rachele Somaschini e Max Biaggi. “Quello della potenza e del controllo è uno dei grandi temi che devono affrontare i tecnici, perché è facile trovare potenza, ma serve garantire il controllo” spiega Biaggi. “Basta pensare a come un tempo gli impianti frenanti fossero spesso sottodimensionati, mentre oggi c’è stato un grande incremento della sicurezza grazie anche tutti i sistemi implementati e sviluppati in questi anni” aggiunge la Somaschini.

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determinati

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Piloti di discipline diverse, ma uniti dalla determinazione. “È qualcosa che hai dentro e con cui sei nato. Anche oggi a nove anni dal ritiro dalle competizioni sono rimasto uguale. Che sia sciare o giocare a calcetto voglio sempre vincere”. Quanto a Rachele, “la mia è una stata grande sfida perché sono nata afflitta da una malattia genetica, la fibrosi cistica, che mi ha obbligato a lottare da subito anche per la mia vita. Ai miei genitori avevano detto che non sarei arrivata all’età adulta, invece la ricerca ha fatto passi avanti, ma è stata anche la determinazione che mi ha aiutato a raggiungere i miei sogni. Volevo diventare pilota e ci sono riuscita. Ma io ogni giorno devo assumere farmaci e fare una terapia respiratoria che mi aiuta a tenere puliti i polmoni”.

i padri

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Entrambi hanno avuto nel padre una figura di riferimento. “Papà Pietro mi ha messo alla prova, ho iniziato tardi a correre in moto e lui ha voluto vedere se davvero volessi fare questo lavoro: per due mesi e mezzo giravo per Roma come pony express, tornavo a casa la sera sporco di smog e a quel punto ha capito, ha messo lui quello che mancava ed è diventato il mio più grande tifoso. Anche per me che venivo da Roma è stato molto più complicato. Un po’ come Alberto Tomba che arrivava da Bologna e all’inizio non era visto come uno di quelli nati in montagna. Io ho iniziato a 18 anni quando Loris Capirossi vinceva il suo primo Mondiale, quattro anni dopo lottavamo in pista per il titolo. La determinazione fa la differenza, così come la cura del dettaglio. Quando correvo era impossibile starmi vicino, ma credo sia qualcosa che accomuna tutti gli sportivi di alto livello”. Per Rachele, invece, fu papà Luca. “Lui aveva una passione enorme per il motorsport e io l’ho seguita. Anche io, per i miei motivi fisici ho iniziato tardi, a 18 anni. Abbiamo debuttato assieme su una Giulietta Sprint a Monza in una gara storica, e abbiamo fatto terzo. E da lì è partito tutto. All’inizio mi ha aiutato lui, perché non conoscendo nessuno non trovi aiuti. Finché mi ha detto, ora rimboccati le maniche, perché mettere tuta e casco è solo l’ultimo passo. Prima devi diventare manager di te stessa, con papà che seguiva la parte sportiva e mamma la charity. Finché dopo le gare in salita sono passata ai rally, con il sogno di arrivare nel Mondiale. Il momento più emozionante? Vedere il mio nome iscritto al Rally di Montecarlo al fianco di quelli che erano i miei idoli. È stata una delle esperienze più belle che ho vissuto”. “Il mio momento è stata la vittoria di Suzuka al debutto in 500 e dopo aver fatto la pole position. Nessuno ci è mai più riuscito, me la tengo stretta”.

Auto? no grazie

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Nelle auto, Biaggi è… ‘vergine’. “Se vuoi ti porto in macchina come navigatore” lo invita Rachele. “Non sono troppo convinto” risponde Max, il cui imprinting è la pista. “Sono due cose totalmente diverse, a volte vedi ragazzi fare in strada cose strane, divertirsi in maniera pericolosa, poi però magari li porti in pista e vedi che non sono più leoni. Potrebbe essere un qualcosa da insegnare per fare comprendere i pericoli. Quello che mi urta proprio è vedere gente che getta cose dal finestrino, che oltre a inquinare, per un motociclista può diventare un pericolo letale”. Se l’incidente in gara è qualcosa che metti in conto, per strada è totalmente diverso: “Tanta gente non tiene in considerazione la sicurezza passiva, cinture, posizione di guida, perché magari vuoi sentirti comoda. A me una volta a Milano un signore ha improvvisamente deciso di fare una inversione a U prendendomi in pieno. L’impatto è stato così forte che sono esplosi tutti gli airbag ma, seduta correttamente, anche l’esplosione dell’airbag non mi ha causato danni. Servono accortezze e buone abitudini che ti portano a salvarti”.

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Uno degli obiettivi di Anas è proprio quello di provare ad abbattere del 50% gli incidenti. “È molto una questione di sensibilizzazione e di creare una cultura, soprattutto tra i più giovani, con corsi di guida sicura e anche talk come questo” dice la Somaschini. Uno dei guai è l’utilizzo dello smartphone al volante: il 10% di chi guida registra video mente guida. “In pista certi pericoli tipici della strada non esistono. Serve educare i giovani – aggiunge Biaggi -. Oggi è tutto più veloce e immediato, anche a casa sfilare il telefono ai miei figli diventa un’impresa. Io provo a creare loro alternative, più che vietare. Se in pista sono molto coraggioso, fuori sono molto attento. A Leon, che ha compiuto 14 anni da poco, ho appena comprato il primo mezzo a due ruote. Ma è una bicicletta. Io da ragazzo insistevo molto per fare la patente da moto, ma papà disse sempre no. Poi a 18 anni arrivò con delle chiavi in mano: ‘Queste sono le chiavi della moto che volevi tanto, vai al concessionario a ritirarla’”. Per aumentar la sensibilità ha lanciato la campagna “Guida e basta”, anche perché i dati sono allarmanti: l’incidentalità stradale è la prima causa di morte in Italia nella fascia 19-23 anni, nel 38,5% dei casi la distanza di sicurezza non viene rispettata il 50,9% non usa gli indicatori di segnalazione, il 72,6% non allaccia le cinture di sicurezza posteriori, ma anche il 46,8% non assicura i bambini ai seggiolini. E ancora: per cercare un numero in rubrica ci si distrae per 8” a 50 km/h, come attraversare un campo da calcio bendati. “I dispositivi smartphone creano una dipendenza, sembra che tu non possa staccarti da loro” conclude Rachele. “Da papà penso sempre come mi dovrò comportare con i miei figli, se essere io a far loro lezioni o se invece portarli a un centro di guida sicura”.





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