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Questa settimana porta con sé due novità importanti sul fronte dei conti pubblici: l PIL degli ultimi anni è stato rivisto verso l’alto, il Ministro Giorgetti ha rilasciato un’intervista a Bloomberg in cui ha preannunciato che ‘‘non esistono contributi volontari delle aziende, quello che esiste è la stella polare che è l’articolo 53 della Costituzione, secondo cui ciascuno è chiamato a contribuire in base alla propria capacità. Stiamo per approvare una legge di bilancio che chiederà sacrifici a tutti”.

Due eventi che stanno animando il dibattito sulla Legge di Bilancio e il Piano strutturale di Bilancio che l’Italia deve presentare a Bruxelles entro metà ottobre. Un percorso che sembrava in discesa e che invece sembra adesso complicarsi.

La revisione del PIL è un fatto tecnico, l’Italia è cresciuta di più negli ultimi anni, questo comporta che i conti pubblici siano più solidi ma, al contempo, che il differenziale del PIL che andiamo a computare per il 2025 sarà più basso. Una revisione che lascia un po’ perplessi per il ritardo e per la portata significativa. Nei primi sei mesi del 2024, il PIL è cresciuto dello 0,4% invece dello 0,6. Questo rende praticamente impossibile raggiungere una crescita dell’1% per il 2024, un obiettivo che a inizio settembre sembrava raggiungibile. Lo stesso Ministro Giorgetti ha dovuto ammettere che non riusciremo a centrare l’obiettivo, questo complica il quadro e richiederà uno sforzo ulteriore per centrare gli obiettivi sul deficit che il Governo si propone di raggiungere.

La dichiarazione del Ministro Giorgetti – vaga e forse improvvisata – ha innescato polemiche anche dentro la maggioranza con esponenti politici che hanno chiarito che non è nel DNA del Governo aumentare le tasse, alcuni si sono anche avventurati in precisazioni su cosa sia il giusto profitto e quali siano i settori che hanno goduto di extra profitti: banche, imprese di assicurazioni, imprese del settore difesa (menzionate dallo stesso Ministro), multinazionali del web.

Il MEF è stato costretto a fare retromarcia, in una nota si è affrettato a precisare che ‘‘si chiederà uno sforzo alle imprese più grandi che operano in determinati settori in cui l’utile ha beneficiato in qualche modo di condizioni favorevoli esterne affinché contribuiscano con modalità sulle quali è in corso un confronto’’.

Una dichiarazione ancora vaga con tre espressioni (‘‘imprese più grandi’’, ‘‘condizioni favorevole esterne’’ e ‘‘confronto’’) di cui è difficile definire i contorni. Si tratta di locuzioni dettate dalla comunicazione politica che trovano poco spazio nel mondo dell’economia e del diritto.

La motivazione politica riguarda il fatto che si mira a rilasciare un messaggio rassicurante: i cittadini (non sono previste tasse a livello individuale) e le piccole imprese, quindi la gran parte degli elettori, possono stare tranquilli, i sacrifici debbono venire dalle grandi imprese che non hanno un volto e producono profitti elevati, se poi vengono da aziende dalla modesta popolarità (banche, imprese della difesa, multinazionali del web) meglio ancora; chi ha fatto il proprio dovere non ha comunque niente da temere, il governo chiederà un contributo solo a chi ha goduto di condizioni favorevoli esterne, come dire a quelle aziende che hanno ricevuto un regalo senza meritarselo; infine c’è la promessa: nessun prelievo forzoso, il Ministro cercherà un confronto con le parti.

Espressioni che non albergano nel mondo del diritto e in una economia di libero mercato.

Il Governo non può svegliarsi a settembre, quando manca una settimana a licenziare il provvedimento, e chiedere risorse al sistema delle imprese ex post su base discrezionale. Le esperienze della Robin Hood tax del 2008 di Tremonti per gli extra profitti delle imprese energetiche, dichiarata incostituzionale nel 2015, della tassa sugli extra profitti sempre delle aziende energetiche del Governo Draghi e della tassa sugli extra profitti bancari del Governo Meloni mostrano che l’intervento forzoso discrezionale è una strada che non porta da nessuna parte sul piano delle norme. Questo a prescindere da valutazioni anche condivisibili, come nel caso delle banche lo scorso anno. Quindi, nessun prelievo forzoso, nel caso delle banche il governo potrebbe intervenire con una modifica al trattamento fiscale delle imposte differite attive. Un intervento che porterebbe al massimo 1 miliardo. Quanto al resto, si parla di raggiungere 5 miliardi, il Ministro intende confrontarsi con le imprese, vedremo il punto di equilibrio che riusciranno a trovare.

C’è un secondo aspetto che non va bene nell’approccio del Governo anche se a dire il vero è una cosa che lo accomuna ai governi precedenti. Si tratta del riferimento a fatti ‘‘eccezionali’’, in questo caso si parla di condizioni esterne, o a valutazioni morali su cosa sia il ‘‘profitto giusto’’ come nel caso delle banche lo scorso anno. Spesso queste valutazioni nascondono in realtà un cattivo funzionamento del mercato, fanno riferimento a rendite di posizione o altri elementi strutturali. Piuttosto che limitarsi a riconoscere ex post che le imprese hanno fatto extra profitti, sarebbe bene agire con decisione per eliminarne le cause. Si tratta di un’azione certosina nell’ambito della concorrenza che il Governo non persegue con forza.

Il Governo Meloni mostra poca intenzione di mettere in cantiere azioni di lungo periodo su temi come concorrenza, spending review e nell’affrontare nodi strutturali del funzionamento dell’economia. Questo è il punto. Anche i governi precedenti non hanno sempre brillato in questo ma ciò non significa che non si debba provare ad agire con decisione piuttosto che svegliarsi in ritardo con proposte improvvisate. Un tema su tutti: ogni anno a settembre torna a galla il tema degli incentivi alle imprese che andrebbero ridisegnati. Il tema vive sui giornali qualche giorno e poi viene abbandonato in quanto è difficile da affrontare. Quando è che si passerà dalle parole ai fatti?

 

 

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