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Giovedì pomeriggio, a borse ancora aperte, il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha voluto dire la sua sulla manovra finanziaria in preparazione per il 2025. Ha parlato senza peli sulla lingua della necessità che tutti facciano “sacrifici”, comprese “piccole, medie e grandi imprese”. Ha escluso un’imposta sugli extra-profitti delle banche, ma ha aperto all’ipotesi di un “contributo” dopo che anche l’Associazione bancaria italiana si era espressa in tal senso.

Primo avanzo primario dal 2019

Da quando il governo è in carica, mai nessun suo componente aveva proferito parole così dure.

E dire che non sembra una fase eccessivamente complicata per la gestione dei conti pubblici. Vero è che il Patto di stabilità tornerà in vigore dall’anno prossimo e l’Italia è sotto procedura d’infrazione per deficit eccessivo. D’altra parte, però, la Banca Centrale Europea (BCE) ha iniziato a tagliare i tassi di interesse, i rendimenti stanno scendendo e indebitarsi già costa meno. La manovra da 25-30 miliardi di euro non sarà facile da redigere, ma il grosso delle coperture è stato trovato, in parte attingendo alle entrate fiscali superiori alle previsioni ufficiali.

Venerdì, l’Istat registrava un miglioramento dei conti pubblici nel secondo trimestre. Il deficit è sceso al 3,4% dal 5% dello stesso periodo dell’anno passato. E si è palesato il primo saldo primario dal quarto trimestre del 2019. Al netto della spesa per interessi, infatti, le entrate hanno superato le uscite per l’1,1% del Pil. Un anno prima, erano inferiori per lo 0,8%. Insomma, i numeri non sono affatto drammatici. Se non fosse per l’impatto del Superbonus, poi, probabilmente già quest’anno il deficit sarebbe sceso sotto il 3%.

Francia nel mirino sui conti pubblici

Quale necessità aveva Giorgetti di fare la faccia dura? Mentre scrive la manovra, non senza le solite difficoltà politiche del caso, la Francia è finita nel mirino di media e analisti.

Il nuovo primo ministro Michel Barnier ha annunciato nuove tasse a carico delle grandi imprese e dei contribuenti più ricchi. Il suo governo punta ad incassare 60 miliardi di euro, pari al 2% del Pil, per abbassare il gigantesco deficit. Quest’anno punta al 7% tendenziale e si sta cercando di riportarlo in area 5%. Ha nel frattempo dovuto rinviare dal 2027 al 2029 la scadenza entro cui Parigi promette di abbassare il deficit sotto il 3%.

L’Italia ha fissato l’obiettivo al 2026, cioè tra due anni. Tra una Francia che sul piano dei conti pubblici peggiora e viene avvertita più rischiosa e un’Italia percepita meno rischiosa, lo spread tra i due paesi si è portato intorno ai 55 punti base. Poco più di mezzo punto percentuale separa i rendimenti decennali italiani da quelli transalpini. Un anno fa, viaggiava intorno a 130 punti e due anni fa a 180. La convergenza è positiva, perché segnala che l’Italia sta recuperando terreno in termini di affidabilità creditizia rispetto alla seconda economia europea. Quest’ultima è scivolata ai livelli della Spagna, come rivelano i bond.

Manovra per colmare spread con Francia

A Roma c’è la consapevolezza che questo sia il momento adatto per mostrarsi responsabili. Le parole di Giorgetti sulla manovra di “sacrifici” saranno state con ogni probabilità un messaggio in codice indirizzato ai mercati: “noi siamo più affidabili dei francesi. Barnier promette sacrifici? L’Italia non sarà da meno, pur di migliorare i conti pubblici”. L’obiettivo sarebbe di ridurre ulteriormente lo spread, che rispetto ai Bund è ormai da tempo il più alto dell’Eurozona. Colmare il divario con gli Oat è ormai questione di dignità nazionale. Che servano o siano sufficienti parole di questo tenore, è un’altra storia.

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