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Quindici chilometri dal fronte del Donbass, forse poco meno. È la distanza che separa il villaggio di Blyzniuky dai territori sotto occupazione russa da più di due anni. Con l’inizio dell’invasione su larga scala, la piccola comunità locale si è prima svuotata per poi invertire il trend fino a quintuplicarsi, passando da mille a cinquemila abitanti, tra cui circa 950 bambini. Effetto della posizione strategica lungo la direttrice che collega il Donbass al centro dell’Ucraina, ma anche di una serie di incentivi messi in campo dall’amministrazione per attrarre nel distretto le persone in fuga, puntando sull’integrazione degli sfollati interni.

«Quando è cominciata l’invasione abbiamo fatto tutto il possibile per accogliere i nostri concittadini provenienti dalle zone di Kramatorsk e Zaporizhzhia». Korol Stepanovych, 55 anni, è sindaco di Blyzniuky dal 2006. Dall’inizio del suo primo mandato, il distretto è cresciuto fino a raggiungere quota 98 villaggi e oggi, con la guerra a una manciata di chilometri, si conferma uno dei punti nevralgici per le manovre militari ucraine. «Fin dal 2014 abbiamo iniziato a prepararci a un simile scenario, con centinaia di persone sfollate che inevitabilmente sarebbero transitate nel nostro territorio», spiega Stepanovych. Di particolare rilievo è la presenza dell’ospedale ortopedico specializzato nella cura dei feriti di guerra, il più vicino al fronte in quest’area del Paese.


Korol Stepanovych, sindaco di Blyzniuky (credits: Avsi – Aldo Gianfrate)

 

Nel processo di integrazione incentivato dall’amministrazione locale, gli sfollati interni hanno trovato non solo un posto in cui vivere, ma anche nuove occasioni lavorative: come spiega il primo cittadino, molti specialisti come elettricisti, idraulici ma anche insegnanti e medici si sono trasferiti a Blyzniuky nei primi mesi dopo la ripresa delle ostilità nel Donbass. «Abbiamo stanziato dei fondi extra dedicati all’accoglienza, con una quota pro capite di 100mila hrivnie (circa 2.300 euro, ndr) da destinare al supporto abitativo». Gli sforzi della municipalità e dell’intera comunità locale si sono concentrati sulla creazione dei presupposti per attrarre gli sfollati perché, afferma Stepanovych, «le persone sono importanti per aiutare a sviluppare l’area e vanno messe al primo posto». Chiunque decida di stabilirsi nel distretto per un minimo di dieci anni potrà diventare proprietario di uno stabile, avviando così un processo di sviluppo economico e urbanistico dell’area anche attraverso il recupero di edifici abbandonati a causa dello spopolamento dovuto alla guerra.

A Blyzniuky, lembo di terra vicino alle zone contese, l’accoglienza di chi ha perso tutto si è trasformata in un volano di crescita dai risvolti a tratti inaspettati. Bohdan Oleksandrovych, 24 anni, lavora nello staff del primo cittadino ed è originario di Kharkiv, un’altra zona duramente colpita dal conflitto. «Dal 2014 la comunità era già abituata al fenomeno della migrazione interna ma dal febbraio 2022 i flussi sono stati più imponenti. All’inizio non è stato facile, le persone erano un po’ spaventate ma si sono integrate quasi subito nel distretto, generando una serie di nuove opportunità che hanno tranquillizzato anche i più scettici».

Fra i simboli dell’integrazione che ha investito Blyzniuky c’è il community center ricavato all’interno di una vecchia biblioteca completamente rimessa a nuovo, con ambienti accessibili ed equipaggiati per le necessità dei bambini del villaggio. Il centro riceve il sostegno da parte della fondazione AVSI nell’ambito di Prospect – Programma di risposta olistica: salute, protezione, educazione nei centri territoriali, uno dei progetti finanziati dall’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (AICS) attraverso il fondo Emergency Initiative in the support of the population affected by the conflict in Ukraine and neighboring countries con un contributo di 46,5 milioni di euro. “Quando il centro ha aperto, nell’autunno del 2023, bisognava invogliare le persone ad andarci perché erano un po’ diffidenti”, ricorda Oleksandrovych. Oggi, invece, la situazione appare molto cambiata: «Adesso le persone ci chiedono di organizzare sempre più eventi e di allargare la nostra rete di contatti con associazioni provenienti dall’Europa».

Uno dei benefici maggiori che il centro ha apportato alla comunità di Blyzniuky riguarda l’educazione dei bambini. Con le scuole chiuse a causa dell’emergenza legata al conflitto, gli spazi gestiti dal personale AVSI assieme a una serie di partner locali hanno rappresentato l’unico elemento di continuità con la vita pre invasione, garantendo un contesto sicuro in cui potersi ritrovare e fare attività insieme grazie alla presenza del rifugio antiaereo, allestito con tutto l’occorrente per accogliere studentesse e studenti in orario scolastico ma anche per ospitare le attività ricreative. «Poter seguire le lezioni insieme ai propri compagni e avere una sala in cui giocare dopo aver fatto i compiti ha dato l’opportunità ai bambini di tenere accesa la luce della speranza e una parvenza di normalità», spiega Gabrielle Salemme, project manager in Ucraina della fondazione AVSI. Il community center ha consentito di continuare con le lezioni in presenza, fornendo alla scuola comunale un modello di riferimento per riaprire i battenti dopo quattro anni e agli insegnanti la possibilità di sviluppare tecniche di educazione non formale previste dalla nuova riforma ucraina.

Libri ma non solo. Non frequentare abitualmente la scuola in presenza ha generato nei bambini una scarsa capacità di interagire anche fisicamente con i propri pari: un gesto naturale come tenersi per mano diventa, per chi non si è mai seduto fra i banchi, un ostacolo molto difficile da superare. A tal proposito, spiega Salemme, «Il lavoro degli insegnanti è affiancato dall’attività di un team di psicologi e assistenti sociali che collaborano per garantire un supporto pressoché totale allo sviluppo dei più piccoli».


Un bambino sul monopattino per le vie di Bluzniuky (credits: Avsi – Aldo Gianfrate)

 

Elyzaveta Plotnykova, 21 anni, ha una laurea triennale in psicologia e mentre studia per conseguire la magistrale lavora nel centro da novembre 2023. «Molte persone in questa comunità hanno bisogno di aiuto psicologico, sia i bambini che i loro genitori»: a tal proposito, nel centro si organizzano una serie di attività di gruppo, dagli sportelli d’ascolto fino ai training per migliorare le attitudini comunicative. «Con le classi lavoriamo per step: durante una prima fase di osservazione cerchiamo di riconoscere le problematiche collettive e dei singoli», spiega Plotnykova. «Abbiamo a che fare con tanti bambini che tendono a isolarsi perché hanno paura di entrare in relazione e far parte di un gruppo, ma la socializzazione è un problema che riguarda anche i più grandi e spesso la riscontriamo all’interno degli stessi nuclei familiari».

E a proposito di famiglie, non mancano esempi anche molto complessi in cui le difficoltà dipendono dai traumi legati, il più delle volte, alle sorti di chi è caduto in battaglia. «Spiegare la guerra significa insegnare a elaborare esperienze spesso drammatiche», continua la psicologa, sottolineando poi come l’avvicinarsi della linea del fronte potrebbe portare ad una nuova ondata di sfollati con un conseguente bisogno di supporto. Tanya, 35 anni, ha perso suo marito in guerra lo scorso gennaio: sua figlia Nastya, 5 anni, quest’anno inizierà l’asilo ed è fra le frequentatrici più assidue del community center: «Mia figlia è molto entusiasta delle attività che si svolgono qui e il merito è tutto del personale che l’ha seguita fin dal primo giorno: dalla morte del padre si è chiusa in se stessa, ma le psicologhe l’hanno aiutata a non aver paura di aprirsi agli altri». Nastya gironzola qua e là per il centro con in testa il cappellino militare che era del papà: «Prima era terrorizzata dai soldati, dall’idea di andare al cimitero e perfino di mangiare le caramelle preferite di suo padre», ricorda mamma Tanya, che ha svolto insieme a sua figlia un percorso di elaborazione del lutto strutturato appositamente sulla base delle loro esigenze.


Lezione nel rifugio del community center Avsi (credits: Avsi – Aldo Gianfrate)

 

«La mia bambina ora frequenta tutte le attività del centro, fa danza ed è sempre occupata con i suoi nuovi amici. Se ripenso ai primi giorni di guerra, la paura che vedevo negli occhi dei più piccoli non c’è più e questo è senz’altro merito anche della presenza di un luogo come il community center di Blyzniuky in cui poter tornare a respirare un po’ di serenità». Tanya cerca di vedere il lato positivo di una situazione difficile, a pochi chilometri da dove da più di due anni e mezzo imperversa un conflitto che sembra non conoscere tregua: «Per quanto ci sforziamo, noi adulti viviamo con la paura e non riusciamo mai a stare sereni, soprattutto per l’incolumità dei nostri figli».

Dagli sforzi della comunità locale in termini di accoglienza fino alla disponibilità delle famiglie ad affidare i propri figli a un team di professionisti, sebbene il supporto psicologico rappresenti in Ucraina ancora un ampio tabù, Blyzniuky si dimostra un piccolo grande esempio di positività. Mentre al fronte si lotta per scampare alla morte, nelle retrovie c’è un intero popolo che mette in campo ogni strumento necessario per assicurare alle generazioni future un domani di pace.

 

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