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Andare in giro per il mondo portando i colori della propria terra e i valori della propria Università. Quella che ha formato Maria Chiara Scappaticcio, che tra soggiorni studio, scuole estive, progetti di ricerca e borse di studio l’ha vista conquistare la stima dei colleghi alla Sorbonne e dell’Institut de Recherche et d’Histoire des Textes di Parigi, alla New York University e Colombia University, alla Normale di Pisa, all’Università di Liegi, alla Fondazione Hardt di Ginevra, all’Università di Strasburgo, e così via. Una competenza che la premierà: a soli 36 anni, nel 2021, diventerà professore ordinario in Lingua e letteratura latina all’Università degli Studi di Napoli Federico II, la più giovane d’Italia. Nata a Piedimonte Matese, si è laureata alla Federico II in Lettere Classiche e poi alla magistrale in Filologia.

Scorrendo il suo lunghissimo curriculum si trovano innumerevoli esperienze all’estero. È un percorso obbligato per chi vuole fare ricerca in latinistica come lei?
«Obbligato fino a un certo punto. La lingua latina ha una connessione immediata con Roma, con l’area italica e l’impero romano. In aggiunta, va sottolineato che il modo in cui oggi si studiano le lingue classiche in Italia ha una valenza eccezionale rispetto a un quadro europeo internazionale, grazie ai nostri licei classici. Quindi, andare all’estero, quando ero una ricercatrice precaria, è stato solo per necessità. Cioè restare in Italia sarebbe dovuto essere un percorso più naturale, ma dopo la laurea e il dottorato di ricerca, non c’erano bandi destinati alla mia disciplina. E quindi, di fronte a quel contesto senza sbocchi, ho cercato delle soluzioni per continuare a lavorare e portare avanti la mia ricerca».

È stato difficile inserirsi?
«No, perché all’estero si investe tanto in ricerca, anche in settori più di nicchia come il mio. Basta guardare gli organici di molti atenei dove tra grecisti e latinisti, troverà sempre italiani e napoletani, e non è un caso. Perché oltre al liceo classico, che come dicevo dà già delle basi eccezionali che altrove non hanno, la formazione che ho avuto a livello universitario alla Federico II mi ha dato un metodo di ricerca latinistica che altrove non avrei avuto. Con queste fondamenta estremamente solide, si hanno gli strumenti necessari per andare all’estero e fare ricerca ad altissimi livelli».

Al di là delle opportunità, partire è difficile?
«È difficile lasciare la famiglia, soprattutto per me, prima laureata a casa, che ho dovuto far capire che la passione per la ricerca mi avrebbe portato ovunque. Ma la forza per perseverare lungo questo percorso è venuta da due maestri in Federico II: Giovanni Polara e Arturo De Vivo, due latinisti e docenti illustri. Molte aperture culturali le devo a loro, sono stati un esempio per me. Anche loro non hanno visto sbocchi a Napoli alla mia età, e hanno avuto una carriera piuttosto itinerante sebbene in una dimensione italiana. Ancora oggi come studiosi sono un modello di vita, per cui per me è stato assolutamente ovvio andarmene da Napoli».

Cosa l’ha spinta a rientrare?
«Volevo fare qualcosa per il mio Paese e ridare indietro quanto acquisito all’estero, proprio come Polara e De Vivo avevano fatto con me. Rientrare nell’Ateneo che mi ha formato è stato gratificante, ma rientrare in un Ateneo che in latinistica ha una tradizione lunga, solida e brillante, lo è molto di più; nel piccolo spero di poter portare avanti questa tradizione, aggiungendo qualcosa che guarda al futuro. E cerco di farlo con i miei studenti, spingendoli ad attingere quanto possibile da esperienze all’estero ma con il fine ultimo di rientrare, perché Napoli ha molto da offrire professionalmente».

In contemporanea al suo rientro, ottenne il finanziamento per un progetto in papirologia finanziato dall’European Research Council che ha realizzato a Napoli.
«Esatto, ho portato un milione e mezzo di euro alla Federico II per un progetto sulla letteratura sulle campagne elettorali antiche e dopo di allora ho iniziato una collaborazione con il parco archeologico di Pompei per cui sto studiando e scrivendo un manuale sul latino a Pompei. Ma con il fondo Erc ho portato anche la fitta rete di colleghi europei con cui sto continuando a lavorare. Vado ancora all’estero per studiare e il bello è che porto con me altri studiosi stranieri. Quando collabori con colleghi in Sorbonne, per esempio, che ti invitano a fare lezione da loro, tu ricambi l’invito e li accogli a Napoli. In latinistica facciamo parte di una grande rete di ricerca europea di prestigio e qui abbiamo delle fonti uniche». 



 

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