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I prestiti a tasso agevolato concessi dal datore di lavoro ai dipendenti tornano tassabili già da quest’anno. Inoltre, le sanzioni Inps per il mancato o ritardato versamento dei contributi aumentano di mezzo punto e raggiungono il 6% per commercianti e artigiani, nonché per i soggetti iscritti alla gestione separata. Questi alcuni degli effetti legati all’incremento del tasso ufficiale di riferimento (Tur) da parte della Banca centrale europea, che è passato dallo 0 allo 0,5 per cento.

La forme di finanziamento erogate dal datore di lavoro con tassi agevolati andranno a formare redditi imponibili per i lavoratori già nel periodo di imposta 2022, seppure secondo la disciplina di favore contenuta nell’articolo 51, comma 4, lettera b), del Tuir, che prevede la quantificazione del benefit secondo criteri forfettari. Resta ferma, comunque, la franchigia generale di non imponibilità dei benefit fino a 258,23 euro come stabilito dall’articolo 51, comma 3, Tuir.

La disciplina prevede che, in caso di concessione di prestiti, si assume il 50% della differenza tra l’importo degli interessi calcolato al tasso ufficiale di riferimento vigente al termine di ciascun anno e l’importo degli interessi calcolato al tasso applicato sugli stessi al dipendente. Ad esempio ipotizzando un prestito concesso dal datore di lavoro di 30.000 euro a tasso zero e Tur dello 0,5% a fine anno, si ottiene un benefit di 75 euro (150 :2) che diventa imponibile se al contempo si supera la soglia di 258,23 euro con altri benefit. Invece nessuna imponibilità era configurabile nel 2021, quando il Tur era pari a zero.

In aggiunta ai prestiti concessi direttamente dal datore, nella norma sono ricompresi quelli concessi da terzi come le banche e le società finanziarie. A titolo esemplificativo, rientrano nella previsione i prestiti concessi sotto forma di scoperto di conto corrente, di mutuo ipotecario e di cessione del quinto dello stipendio.

Di regola dovrebbe trattarsi di forme di finanziamento concesse da terzi con i quali il datore stesso abbia stipulato accordi o convenzioni e in base ai quali possa intervenire facendosi carico di tutti o parte degli interessi relativi al prestito erogato al dipendente. Tuttavia, nella risoluzione 46/2010, l’agenzia delle Entrate ha ritenuto possibile accedere alla disciplina del comma 4 dell’articolo 51 anche nel caso in cui l’istituto di credito scelto dal lavoratore sia di propria fiducia e non convenzionato. In questo caso, gli interessi versati dal datore dovrebbero essere accreditati sullo stesso conto corrente ove sia acceso il mutuo, in modo tale che di fatto la somma non entri nella disponibilità del dipendente.

Occorre inoltre che al datore pervenga adeguata documentazione della banca che certifichi la regolarità dei pagamenti delle rate del finanziamento, nonchè tutte le informazioni sullo status del finanziamento, quale ad esempio una eventuale revoca anticipata dello stesso.

Peraltro, il contributo azienda per il pagamento degli interessi su finanziamenti può essere incluso in un piano welfare tra i beni e servizi selezionabili dal dipendente qualora le modalità di accreditamento della somma realizzino un collegamento immediato e univoco tra l’erogazione aziendale e il pagamento degli interessi (risoluzione 55/2020).

 

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