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Piena potestà regolamentare delle Cassa privatizzate nel tracciare i criteri per l’obbligatorietà dell’iscrizione e dunque per il versamento del contributo minimo che può essere disposto anche in assenza di reddito, a seguito della mera iscrizione all’albo professionale. Questo in sintesi il contenuto della sentenza n. 4568/2021 con cui la Cassazione ha respinto il ricorso di un geometra contro la sentenza della Corte di appello di Firenze confermativa della cartella con la quale la Cassa aveva preteso i contributi relativi ad un periodo di quattro anni (2008-12), durante i quali il contribuente aveva svolto attività professionale senza però essere iscritto all’ente di previdenza.

Plaude alla decisione il presidente della Cassa Geometri, Diego Buono, secondo cui: “La Corte, superando il proprio precedente orientamento, ha finalmente confermato la potestà regolamentare della Cassa in ordine ai criteri iscrittivi, sposando la tesi che l’iscrizione all’albo professionale sia condizione sufficiente per rendere obbligatoria l’iscrizione alla Cassa, anche quando la professione sia svolta in maniera non continuativa”.

“La Sezione Lavoro – prosegue – ha affermato la legittimità delle norme relative all’iscrizione alla Cassa degli iscritti all’albo e al pagamento dei contributi minimi a prescindere dal reddito, ritenendo che le stesse siano la legittima espressione di esercizio dell’autonomia regolamentare della Cassa all’esito della sua privatizzazione“. In tal modo superando il precedente orientamento, espresso con sentenza n. 5375/2019.

Secondo il ricorrente invece, per un verso, la Cassa, nella sua autonomia, non poteva spingersi a modificare i presupposti per l’iscrizione; per l’altro, aveva omesso di considerare l’assenza di reddito (visto che le prestazioni erano state svolte a favore di familiari).

La Suprema corte ricorda che ai sensi della legge 4 febbraio 1967, n. 37 sono obbligatoriamente iscritti alla Cassa gli iscritti negli Albi professionali dei geometri.
Mentre la legge 773/1982 (Riforma della Cassa nazionale) pur distinguendo gli iscritti all’albo che esercitano la professione con carattere di continuità, ha continuato a prevedere “in ogni caso un obbligo di contribuzione minima di solidarietà (art. 10)”. “In tale contesto legale – si legge nella decisione -, l’iscrizione all’albo professionale è condizione sufficiente al fine dell’obbligatorietà della iscrizione alla cassa, e l’ipotetica natura occasionale dell’esercizio della professione è irrilevante ai fini dell’obbligatorietà dell’iscrizione e del pagamento della contribuzione minima”.

A decorrere al 2003, nell’esercizio del potere regolamentare, prosegue la decisione, la Cassa ha ribadito l’automatismo di iscrizione previsto dalla legge del 1967e specificato che “l’obbligo di contribuzione minima sussiste nel caso di attività effettiva, ancorché saltuaria ed occasionale”. “Per i soggetti tenuti all’iscrizione alla Cassa, dunque, non rileva la mancata produzione effettiva di reddito professionale, essendo comunque dovuto un contributo minimo, e ciò in ogni caso ed anche nell’ipotesi di dichiarazioni fiscali negative”.

Ne deriva, nell’ottica di permettere un equilibrio finanziario di lungo periodo (legge 335/95), la legittimità delle norme relative all’iscrizione alla cassa degli iscritti a l’albo e al pagamento dei contributi minimi “a prescindere dal reddito, essendo tali norme la legittima espressione di esercizio dell’autonomia regolamentare della Cassa all’esito della sua
privatizzazione”.

Riguardo poi all’altro rilievo, l’aver lavorato per i parenti, la Corte ribadisce che “il principio fondamentale che determina l’obbligo di contribuzione è quello della oggettiva riconducibilità delle attività svolte alla professione, mentre non rilevano altre circostanze quali l’assenza di reddito e l’ambito familiare in cui l’attività si è svolta, sicché l’eventuale assenza di reddito sarebbe comunque un fatto non rilevante, in ordine al quale la corte non aveva specifico dovere motivazionale”.

“Si tratta di un arresto fondamentale – conclude il presidente Buono – perché per la prima volta la Cassazione entra nel merito dell’attività che la Cassa svolge per contrastare l’elusione contributiva e la concorrenza sleale nei confronti di chi versa regolarmente la contribuzione, facendo finalmente chiarezza”.

 

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