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Nel difficile contesto della crisi pandemica, le banche sono state chiamate a svolgere un rilevante ruolo istituzionale mettendo la propria liquidità a disposizione delle imprese mediante il sistema dei prestiti garantiti dallo Stato.

Tale sistema, introdotto e regolato da due decreti d’urgenza (il Decreto Liquidità e il Decreto Aiuti), ha agevolato l’erogazione di finanziamenti esclusivamente in favore di realtà che versavano in una condizione di crisi di liquidità per effetto delle restrizioni sanitarie imposte.

Purtroppo, però, non sempre i parametri legislativi sono stati rispettati.

Per quale motivo?

Da un lato, la necessità di agire con la massima urgenza accompagnata dalla sicurezza determinata dalla sussistenza della garanzia statale ha comportato una massiccia erogazione di finanziamenti, anche in favore di società che presentavano situazioni di crisi già precedentemente consolidate e in difetto di una attenta valutazione circa la effettiva capacità di rimborso del debito (pur in un contesto in cui nessuna norma aveva introdotto deroghe alla valutazione del merito creditizio): del resto era radicato e diffuso il convincimento che dovessero essere aiutate le imprese in un momento tanto difficile.

Dall’altro, le banche hanno talvolta indebitamente utilizzato gli strumenti previsti dalla normativa emergenziale allo scopo di tramutare prestiti chirografari preesistenti in finanziamenti assistiti da garanzia privilegiata.

Cosa è successo?

Come era prevedibile, a distanza di quattro anni i nodi stanno venendo al pettine.

L’erogazione spesso indiscriminata di finanziamenti garantiti, in buona parte dei casi non ha fatto altro che procrastinare l’emersione della crisi sicché oggi non esiste tavolo di ristrutturazione in cui non siano presenti finanziamenti garantiti dallo stato.

Ma ciò che è più grave è che in tali contesti si genera una sorta di circolo vizioso in cui proprio la presenza di tali finanziamenti finisce per costituire l’ostacolo principale alla fattibilità di qualunque percorso di risanamento dell’impresa, in senso diametralmente opposto con le originarie intenzioni del legislatore.

Infatti, nelle situazioni di risanamento gestite in sede stragiudiziale (che tendenzialmente si utilizzano nei casi in cui la crisi è ancora in fase iniziale) si assiste stabilmente a un irrigidimento della posizione negoziale delle banche, che tendono a pretendere, in via transattiva, quantomeno un importo pari alla percentuale di finanziamento garantita (80 – 90%), affermando di essere a ciò obbligate da norme regolamentari.

La situazione del debitore

Tale irrigidimento finisce spesso per essere proprio la causa dell’impossibilità per il debitore di portare avanti le ristrutturazioni del debito in tale sede, con conseguente necessità di accedere a procedure concorsuali, contesto in cui la situazione per il debitore si complica ulteriormente per due ragioni.

Da un lato, l’accesso del debitore a tali procedure comporta l’obbligo per le banche di avviare il procedimento di escussione della garanzia.

Il che determina l’esigenza di considerare necessariamente nel piano (mediante l’appostazione di un fondo) il rischio di realizzazione di una passività potenziale di natura super-privilegiata, senza alcuna possibilità di prevedere in quale momento essa avrà a verificarsi.

Dall’altro, si pone l’ulteriore problema – di difficile se non impossibile gestione – costituito dal fatto che la surroga del garante statale viene per legge effettuata con l’emissione di ruoli esattoriali non regolabili mediante transazione fiscale.

L’imprenditore si trova quindi stretto in una morsa da cui, molto spesso, è impossibile uscire: la presenza di finanziamenti garantiti assorbe gran parte dell’attivo disponibile con la conseguenza che le ristrutturazioni, quando ancora possibili, finiscono per pesare esclusivamente sui fornitori chirografari, amplificando il danno anche a livello di sistema, senza beneficio per il garante pubblico, tenuto conto che la riscossione dei crediti in danno di una impresa dissolta dà risultati sempre molto modesti, con tempistiche ancor meno apprezzabili.

Si tratta, evidentemente, di un circolo vizioso da cui è indispensabile uscire nell’interesse di tutte le parti coinvolte.

È certamente interesse dell’imprenditore, e della sua filiera, godere di concrete chances di risanamento, che sempre più spesso dipendono dalla effettiva possibilità di negoziare a stralcio anche le posizioni bancarie garantite dallo Stato.

È interesse delle banche quello di mantenere in vita il tessuto produttivo, aprendosi concretamente alla possibilità di una trattativa in sede stragiudiziale anche delle posizioni garantite.

Anticipare la definizione della crisi

Chiari sono i segnali del sistema in tal senso. In primo luogo, con l’emanazione della circolare MCC n. 8/2022 sono state introdotte determinate procedure agevolate per la conclusione di accordi transattivi a stralcio nei contesti di crisi di impresa regolabili nell’ambito della composizione negoziata.

Dal quadro regolamentare complessivo emerge che la banca, pur se astrattamente non interessata ad accettare proposte di ristrutturazione che la conducano a un trattamento economico peggiorativo rispetto all’escussione della garanzia, dovrà comunque adottare un comportamento attivo, caratterizzato da adeguata diligenza professionale, al fine di assumere tutte le iniziative utili per tutelare le ragioni di credito di MCC e contenere l’entità della perdita a carico del Fondo, a pena di inefficacia della garanzia.

In secondo luogo, nell’ambito delle liquidazioni giudiziali, si assiste a un vaglio sempre più severo in sede di verifica dei crediti, avuto riguardo alla sussistenza dei presupposti per l’erogazione dei finanziamenti garantiti, con penalizzazione delle banche che non li abbiano rispettati anche in termini di inefficacia della garanzia.

La recente sentenza del Tribunale di Asti del 8 gennaio 2024, nel decidere in merito a una richiesta di insinuazione al passavo da parte di una banca, ha addirittura sancito la nullità di un mutuo garantito, perché erogato in un contesto di crisi dell’impresa preesistente, senza nemmeno riconoscere l’esistenza di un credito restitutorio di natura chirografaria.

Il tutto, senza considerare il rischio che, in tali contesti, possa astrattamente essere anche vagliata la sussistenza di fattispecie di rilevanza penale.

È quindi evidente l’interesse di tutte le parti coinvolte di anticipare quanto più possibile la definizione della crisi, individuando nella composizione negoziata – ogni volta che ciò sia possibile – la sede più adatta per rinegoziazione del debito bancario garantito, mediante l’attivazione della procedura ad hoc recentemente introdotta. 

In tale prospettiva, considerato che la relativa proposta può essere inviata al fondo di garanzia solo a seguito di delibera positiva da parte dell’istituto di credito, sarà opportuno che i processi decisionali degli enti interessati vengano adeguatamente snelliti onde evitare che proprio tali ritardi compromettano la possibilità per l’impresa di gestire la propria crisi in sede stragiudiziale.

A parte, dovranno probabilmente essere studiati appropriati rimedi, affinché le differenti normative (concorsuale, regolamentare bancaria, regolamentare MCC) si armonizzino, con l’obiettivo di agevolare il risanamento delle imprese che meritano di restare sul mercato.

 

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di marzo 2024 di AziendaBanca ed è eccezionalmente disponibile gratuitamente anche sul sito web. Se vuoi ricevere AziendaBanca, puoi abbonarti nel nostro shop

 

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