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Nella pratica degli affari è usuale che un istituto di credito richieda il rilascio di adeguate garanzie di reddito e/o di patrimonio quale condizione imprescindibile per accordare mutui o affidamenti bancari di qualunque tipo.

Tali garanzie possono avere carattere reale quando hanno ad oggetto beni (ad es. il pegno sui beni mobili o l’ipoteca sui beni immobili) oppure carattere personale quando impegnano le persone fisiche o giuridiche con tutto il loro patrimonio (ad es. le fideiussioni o i contratti autonomi di garanzia).

Per quanto interessa le garanzie personali, è frequente che un amministratore di una società di capitali presti una fideiussione agli istituti bancari dove l’impresa ha il conto corrente, con l’intento di consentire alla compagine societaria di ottenere una maggiore liquidità per i propri investimenti.

Un’altra casistica molto comune si verifica, poi, quando il cliente non può vantare una grande credibilità agli occhi degli intermediari (ad es. per la sua giovane età o per non aver onorato precedenti finanziamenti) e necessiti quindi dell’aiuto di parenti od amici che -attraverso le loro garanzie personali- rassicureranno gli operatori del credito in merito al suo futuro adempimento.

In realtà, le garanzie personali non sono una tematica strettamente limitata al mondo bancario potendo interessare, infatti, anche rapporti di credito tra soggetti del tutto estranei ad esso.

Ciò avviene, ad esempio, in riferimento alle fideiussioni rilasciate a garanzia di adempimento dei canoni mensili nei contratti di locazione, oppure nell’ambito dei contratti di affitto di azienda.

Chi sottoscrive una garanzia personale, però, è spesso convinto che la malaugurata ipotesi di inadempienza del debitore garantito non si verificherà mai, non tenendo in debita considerazione che non sempre le cose assumono la piega sperata e che è possibile ritrovarsi a rispondere, con tutto il proprio patrimonio, delle obbligazioni assunte dal debitore garantito.

Ciò premesso, il presente elaborato si pone l’ambizioso obiettivo di individuare e sintetizzare una serie di potenziali motivi di illegittimità delle garanzie personali, così come rilevati dalla più recente giurisprudenza e che -a seconda dei casi- potrebbero consentire al garante di liberarsi del tutto dalla garanzia (evitando di adempiere l’obbligazione assunta) o quantomeno di diminuirne considerevolmente l’entità.

Ovviamente, trattandosi di una rassegna di giurisprudenza, non è affatto certo che i motivi di illegittimità di seguito riportati saranno sempre accolti dall’autorità giudiziaria in tutta Italia ed anzi, talvolta, si tratta di questioni oggetto di aspre controversie giurisprudenziali.

Malgrado ciò, l’augurio è che l’articolo in questione possa fornire le indicazioni necessarie per approntare la migliore difesa possibile contro quei creditori che, più o meno consapevolmente, abbiano posto in esecuzione una garanzia non valida, già estinta o comunque viziata da profili di illegittimità.

Prima ancora di addentrarsi nell’illustrazione delle anomalie sopra menzionate, è fondamentale porre in evidenza che le garanzie personali possono appartenere a due differenti categorie, ciascuna con le proprie caratteristiche e peculiarità.

Nello specifico, esistono principalmente due tipi di garanzie personali:

1) le fideiussioni

2) i contratti autonomi di garanzia (anche detti garanzie atipiche).

Tale distinzione è assai importante anche ai nostri fini poiché -in base a come si qualifichi una data garanzia personale, ovvero come fideiussione o come garanzia atipica- potrebbero mutare le discipline normative applicabili ed anche gli eventuali profili di illegittimità, potenzialmente differenti a seconda della categoria in concreto operante.

Malgrado infatti nel linguaggio comune si usi sempre utilizzare il termine “fideiussione”, in senso tecnico le garanzie personali non sono sempre qualificabili come fideiussioni in senso stretto, essendo a volte riconducibili alla diversa categoria delle garanzie atipiche (o contratti autonomi di garanzia).

Al riguardo, non assumerà alcuna rilevanza l’intestazione del testo contrattuale come “fideiussione” o come “contratto autonomo di garanzia”, occorrendo indagare, invece, quale sia stata l’effettiva volontà delle parti al momento della stipula del contratto.

Ad ogni modo, un elemento in comune tra le due figure è dato dalla circostanza che -sia con la fideiussione che con i contratti autonomi di garanzia- un soggetto si obbliga personalmente e con tutti i suoi beni nei confronti del creditore altrui, così garantendo l’adempimento della prestazione dovutagli.

Vi sono però delle differenze sostanziali tra i due istituti in esame, che si vanno ad illustrare di seguito:

La più evidente differenza tra le figure anzi dette sta nel fatto che nella fideiussione vi è un accentuato rapporto di accessorietà tra l’obbligazione di garanzia e quella principale, mentre il contratto autonomo di garanzia si connota, appunto, per la mancanza di accessorietà e per la totale autonomia rispetto al rapporto principale.

Ciò implica, agli effetti pratici, che nella fideiussione il fideiussore potrà contestare ogni eventuale profilo di illiceità dell’obbligazione principale, diversamente dal garante che -in linea di massima- nel contesto di un contratto autonomo di garanzia non potrà mettere in discussione il rapporto giuridico principale.

La portata di quest’ultimo principio, tuttavia, è stata notevolmente ridimensionata dalla giurisprudenza di legittimità (v. in particolare Cass. Civ. Sez. Unite. n. 3947/2010; Cass. Civ. n. 3326/2002; Cass. Civ. n. 26262/2007; Cass. Civ. n. 5044/2009; Tribunale Napoli n. 2483/2018), la quale ha chiarito che nel contratto autonomo di garanzia talvolta il garante potrà sollevare eccezioni in ordine al rapporto principale, sebbene limitatamente alle seguenti specifiche ipotesi:

A) in caso della cd. exceptio doli generalis seu presentis, vale a dire quando vi è evidenza certa del venir meno del debito garantito per pregressa estinzione dell’obbligazione principale, o per adempimento della stessa o per altra causale, ovvero più in generale quando vi sia stata escussione della garanzia con dolo o mala fede o abuso manifesto da parte del creditore;

B) in caso di inesistenza o nullità del contratto-base per contrarietà a norme imperative o per l’illiceità della causa, dell’oggetto o del motivo comune ad entrambe le parti per cui, in definitiva, il contratto di garanzia tenderà ad assicurare il risultato che l’ordinamento vieta;

C) quando le eccezioni attengono alla validità del contratto di garanzia stesso.

Una seconda importante differenza tra la fideiussione ed il contratto autonomo di garanzia è insita poi nella funzione delle due figure negoziali.

Infatti, il contratto di fideiussione ha la funzione di garantire l’adempimento della medesima obbligazione principale altrui, tutelando l’interesse all’esatto adempimento della relativa prestazione.

Il contratto autonomo di garanzia, invece, persegue lo scopo di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, avendo come causa concreta quella di trasferire, da un soggetto ad un altro, il rischio economico connesso alla mancata esecuzione. 

In altre parole, nella fideiussione la funzione del contratto è satisfattoria, poiché lo scopo è quello di consentire l’esatto adempimento dell’obbligazione principale; al contrario, nel contratto autonomo di garanzia, viene perseguita una funzione indennitaria, dal momento che esso è mirato non a garantire l’adempimento dell’obbligazione principale, bensì a tenere indenne il creditore contro qualsiasi rischio di inadempimento da parte del debitore.

Si pensi, ad esempio, ad un contratto di appalto coperto da una garanzia atipica rilasciata dalla ditta appaltatrice: l’eventuale inadempimento della ditta nel realizzare l’opera appaltata nei tempi stabiliti non costringerà il garante a realizzare lui stesso l’opera ma obbligherà, quest’ultimo, a tenere indenne il garantito dalle conseguenze economiche causate da tale inadempimento.

Come sopra accennato, le due predette figure contrattuali si distinguono poi per il diverso o identico oggetto delle prestazioni di garanzia rispetto a quello dell’obbligazione principale.

Nella fideiussione, in particolare, l’oggetto della prestazione è identico a quello dell’obbligazione garantita, atteso che il fideiussore è debitore negli stessi termini in cui lo è il debitore principale, per cui il creditore potrà richiedere al fideiussore soltanto l’esatto adempimento dell’obbligazione assunta dal debitore garantito.

Diversamente, nel contratto autonomo di garanzia il garante si obbliga a tenere indenne il creditore nell’eventualità della mancata prestazione del garantito (per qualsiasi ragione essa avvenga) e pertanto l’oggetto della prestazione che dovrà fornire il garante non sarà lo stesso dell’obbligazione principale, essendo rappresentato dal ristoro delle conseguenze dell’inadempimento del debitore garantito.

La distinzione tra le due figure negoziali può presentarsi assai ardua quando, a prima vista, esse appaiono in tutto e per tutto identiche.

In tali casistiche, la giurisprudenza ha ritenuto fondamentale -ai fini della distinzione dei predetti schemi negoziali- la presenza contemporanea della c.d. “clausola a prima richiesta” e della clausola c.d. “senza eccezioni”.

Esse difatti consentono al creditore di richiedere l’adempimento dell’obbligazione direttamente al garante mediante una semplice richiesta scritta e senza che quest’ultimo possa opporre eccezioni di nessun tipo in ordine al rapporto giuridico principale (salvi i casi eccezionali già illustrati al precedente punto 1) .

Le clausole sopra menzionate, quindi, consentono di qualificare un dato contratto come “autonomo di garanzia”, anziché di fideiussione, posto che le caratteristiche delle stesse risultano incompatibili con il principio di accessorietà caratteristico del contratto di fideiussione stesso.

* * *

Ciò premesso, occorre adesso esaminare i vari profili di illegittimità suggeriti dalla giurisprudenza, precisando che l’accezione di “illegittimità” è qui intesa in senso estremamente ampio, includendosi qualunque categoria di invalidità (nullità o annullabilità) ed anche ipotesi di estinzione della garanzia per decadenza/prescrizione della stessa.

Si specificherà, inoltre, per ogni punto, se esso attiene soltanto alle fideiussioni ovvero ai contratti autonomi di garanzia, oppure ad entrambi.

Si è visto innanzitutto che il contratto di fideiussione si pone in un rapporto di accessorietà con l’obbligazione principale, conseguendone che il fideiussore potrà contestare ogni aspetto del contratto stipulato dal debitore con il creditore.

A tal proposito, l’art 1945 c.c. non lascia adito ad alcun dubbio laddove statuisce che “Il fideiussore può opporre contro il creditore tutte le eccezioni che spettano al debitore principale, salva quella derivante dall’incapacità”.

La norma citata è conseguenza del principio di accessorietà delle fideiussioni, in base al quale il rapporto fideiussorio esiste solo se esiste quello garantito.

Dunque, se si immagina ad esempio un rapporto di mutuo o di affidamento bancario, non sorgono dubbi che il fideiussore potrà contestare l’eventuale presenza di interessi usurari o di anatocismo o di altre anomalie (come l’applicazione indebita di commissioni di massimo scoperto, o l’indeterminatezza dei tassi effettivi applicati in un contratto di finanziamento ecc.).

Maggiori dubbi potranno sorgere, invece, in riferimento ai contratti autonomi di garanzia perché -come sopra dedotto- in linea di massima il garante non può sollevare eccezioni in ordine al rapporto giuridico principale, non essendovi alcun legame di accessorietà tra le due obbligazioni e non trovando applicazione l’art. 1945 c.c.

Tuttavia, si è visto altresì che in casi eccezionali il garante può effettuare contestazioni anche in merito al rapporto principale ed in particolare quando l’escussione della garanzia è avvenuta con dolo o mala fede da parte del creditore, o in caso di inesistenza o nullità del contratto-base per contrarietà a norme imperative, o per l’illiceità della causa, dell’oggetto o del motivo comune ad entrambe le parti.

Alla luce di quanto sopra, è pacifico che il garante potrà contestare l’eventuale presenza di tassi usurari, atteso che l’art. 644 c.p. -il quale prevede e disciplina il reato di usura- costituisce senz’altro una norma imperativa la cui violazione ben legittima il garante autonomo a sollevare la relativa eccezione (v. Tribunale di Napoli n. 11972/2013).

E’ fonte di maggiori discussioni, invece, se il garante possa -o meno- contestare l’applicazione illegittima di anatocismo nel contratto principale.

Sul punto, si è espressa di recente la giurisprudenza di merito e di legittimità, la quale ha stabilito che anche il garante autonomo può sollevare nei confronti della banca l’eccezione di nullità della clausola anatocistica, alla luce del fatto che l’art. 1283 c.c. è da considerarsi norma imperativa legittimante l’anatocismo alle sole condizioni previste, ovvero in caso di anatocismo convenzionale, giudiziale o usuale (v. Tribunale di Napoli, sez. II, 13/03/2018; Cass. Civ. n. 371/2018; Cass. Civ. n. 20397/2017).

Non mancano però opinioni diametralmente opposte alla posizione sopra espressa, in quanto è stato altresì sostenuto che la nullità della pattuizione di interessi ultralegali si comunica al contratto autonomo di garanzia, non essendo vietato nel nostro ordinamento il pagamento di tali interessi ma soltanto quello di interessi usurari e che, ad ogni modo, non è neppure configurabile un divieto assoluto di anatocismo, essendo anzi quest’ultimo permesso alle particolari condizioni previste dall’art. 1283 c.c., e, per gli esercenti l’attività bancaria, dal D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 120 (in tal senso, Tribunale Roma n. 3928/2018; Cass. Civ. n. 5044/2009).

L’art. 1938 c.c. prevede testualmente che “La fideiussione può essere prestata anche per un’obbligazione condizionale o futura con la previsione, in quest’ultimo caso, dell’importo massimo garantito”.

Si tratta della c.d. clausola omnibus, in forza della quale il fideiussore garantisce il debitore di una banca per tutte le obbligazioni da questo assunte, comprensive non solo dei debiti esistenti nel momento in cui la garanzia fideiussoria venne prestata ma anche di quelli che deriveranno in futuro da operazioni, di qualunque natura, intercorrenti tra la banca ed il debitore principale.

In base al sopra citato art. 1938 c.c., è stato stabilito che senza indicazione dell’importo massimo garantito la fideiussione su obbligazioni future deve reputarsi nulla.

Tale previsione normativa non si applica soltanto alle fideiussioni bensì anche alle garanzie atipiche ed infatti la giurisprudenza di legittimità -già da tempo- ha rilevato che l’art. 1938 c.c. pone un principio generale di garanzia e di ordine pubblico economico, valevole anche per le garanzie personali atipiche (Cass. Civ. n. 1520/2010).

Nell’alveo delle garanzie atipiche rientrano peraltro anche le c.d. lettere di patronage, ovvero quelle  dichiarazioni generalmente redatte in forma epistolare rilasciate ad una banca o ad un diverso ente creditore di un soggetto (di solito una società capogruppo o una società controllante), detto patron, al fine di ottenere, rinnovare o mantenere un finanziamento in favore di un determinato soggetto (detto patronnant).

Sul punto, infatti, anche la giurisprudenza di merito ha assunto una posizione netta, rilevando che l’omessa previsione dell’importo massimo garantito determina la nullità della lettera di patronage per mancanza di un requisito essenziale (Tribunale Roma n. 24094/2018).

Il predetto obbligo di previsione di un importo massimo garantito per le obbligazioni future, tra l’altro, non si applica soltanto alle fideiussioni rilasciate a favore di banche o di società finanziarie, posto che né la lettera della norma, né la sua “ratio”, consentono una tale limitazione (Cass. civ. n. 5951/2014).

Restano tuttavia alcuni punti da chiarire: innanzitutto, si consideri che l’obbligo di indicazione dell’importo massimo della garanzia personale riguarda solo il caso delle fideiussioni su obbligazioni future e non quello delle obbligazioni sottoposte a condizione sospensiva, atteso che quest’ultima casistica non è stata contemplata dal disposto normativo di cui all’art. 1938 c.c. (v. Cass. Civ. n. 2497/2017; Cass. Civ., n. 8944/2016; Cass. Civ., n. 21521/2016).

In secondo luogo, va detto che non possono considerarsi obbligazioni future gli interessi e gli accessori maturati sul capitale oggetto del rapporto principale, in base ai tassi ufficiali ed alle previsioni contrattuali, avendo esse ad oggetto un credito individuato od individuabile attraverso criteri predeterminati (diversamente dalla fideiussione cd. “omnibus” dove, invece, il credito garantito dipende dallo svolgimento futuro del rapporto tra banca creditrice e cliente) e dovendosi così escludere l’obbligo di indicazione del limite massimo di importo garantito ex art. 1938 c.c. (Cass. Civ. n. 21521/2016).

Un altro aspetto molto interessante attiene –infine- alle fideiussioni firmate prima della modifica normativa che aveva imposto la nullità delle fideiussioni omnibus senza indicazione dell’importo massimo garantito, considerato che tale obbligo normativo è stato introdotto con la Legge n. 154 del 17 febbraio 1992 (Norme per la trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari).

In particolare, per quanto riguarda le fideiussioni omnibus senza importo massimo garantito stipulate in precedenza all’entrata in vigore della legge poc’anzi citata, gli istituti di credito si erano spesso difesi sostenendo che -all’epoca della stipula della garanzia personale- non esisteva alcun obbligo di legge in tal senso e che quindi dette fideiussioni erano da reputarsi pienamente valide.

Tuttavia, la giurisprudenza maggioritaria è giunta a conclusioni diametralmente opposte a quelle sposate dai creditori, stabilendo che una fideiussione omnibus che non contenga l’indicazione dell’importo massimo garantito e che sia stata stipulata prima della legge n. 154/1992, seppur valida in relazione ai debiti sorti prima della data di entrata in vigore della legge stessa, non spiegherà alcuna efficacia sui debiti sorti in epoca successiva, salvo che le parti non abbiano fissato un importo massimo garantito con la rinnovazione della convenzione di garanzia (Tribunale Arezzo n. 536/2017; Cass. Civ. n. 2871/2017; Cass. Civ. n. 1580/2017).

In altre parole, secondo la giurisprudenza maggioritaria, gli istituti di credito avrebbero dovuto rinnovare le garanzie personali in loro possesso, aggiungendo l’indicazione dell’importo massimo garantito; se così non è stato fatto, le fideiussioni non avranno effetti per quanto concerne i debiti sorti successivamente alla Legge n. 154/1992.

Il contenzioso tra le banche e i clienti


Uno dei motivi di potenziale illegittimità delle garanzie personali che sta suscitando maggiormente le attenzioni degli addetti ai lavori attiene poi alla ritenuta nullità delle fideiussioni redatte alla stregua dei moduli ABI dell’anno 2003.

Con particolare riferimento alle fideiussioni stipulate tra il 2003 ed il maggio del 2005, è accaduto infatti che l’ABI (l’Associazione Bancaria Italiana), a cui la maggior parte degli istituti di credito italiani ha aderito, nel 2003 aveva redatto un modello di fideiussione contenente clausole contrattuali particolarmente favorevoli al creditore che, in molti casi, gli istituti bancari avevano utilizzato e sottoposto (attraverso moduli precompilati) ai garanti dei loro clienti.

Sennonché, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato in prima battuta (con parere del 22 agosto 2003) e la Banca d’Italia in un secondo momento (con Provvedimento n. 55 del 2 maggio 2005) avevano rilevato che alcune di queste clausole contenute nel modello ABI 2003 risultavano eccessivamente gravose per il cliente e che –anche considerato che l’ABI rappresenta quasi tutti gli operatori creditizi- esse fossero il frutto di un’intesa anticoncorrenziale in contrasto con la normativa antitrust a tutela della concorrenza e, segnatamente, con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/1990.

Per questi motivi, la Banca d’Italia, nel provvedimento sopra menzionato, aveva dedotto che gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI nel 2003 per le fideiussioni omnibus, dovessero reputarsi illegittimi.

In particolare, l’art. 2 dello schema ABI (noto anche come “clausola di reviviscenza”) dichiarava il fideiussore tenuto “a rimborsare alla banca le somme che dalla banca stessa fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite e che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi, o per qualsiasi altro motivo”.

Il successivo art. 8 sanciva, poi, l’insensibilità della garanzia prestata agli eventuali vizi del titolo in virtù del quale il debitore principale è tenuto nei confronti della banca, disponendo che “qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide, la fideiussione garantisce comunque l’obbligo del debitore di restituire le somme allo stesso erogate”.

Tali clausole, in buona sostanza, furono considerate eccessivamente gravose per il garante poiché prevedevano la permanenza dell’obbligazione fideiussoria anche a fronte di vicende estintive del rapporto principale (come il pagamento del debitore), o di cause di invalidità anche coinvolgenti la stessa obbligazione principale garantita.

L’altra clausola contestata, ovvero l’art. 6 del predetto schema contrattuale ABI 2003, disponeva infine che “i diritti derivanti alla banca dalla fideiussione restano integri fino a totale estinzione di ogni suo credito verso il debitore, senza che essa sia tenuta ad escutere il debitore o il fideiussore medesimi o qualsiasi altro coobbligato o garante entro i tempi previsti, a seconda dei casi, dall’art. 1957 cod. civ., che si intende derogato”.

Al riguardo, occorre ricordare che l’art. 1957 c.c. subordina la permanenza dell’obbligazione di garanzia del fideiussore, dopo la scadenza dell’obbligazione principale, alla circostanza che il creditore abbia proposto e diligentemente continuato le sue istanze nei confronti del debitore entro il termine di sei mesi; tale termine, peraltro, si riduce a due mesi nell’ipotesi in cui il fideiussore abbia, preventivamente ed espressamente, limitato la propria garanzia allo stesso termine dell’obbligazione principale.

Ebbene, la Banca d’Italia, nel provvedimento di cui sopra, aveva rilevato circa l’art. 6 che la deroga all’art. 1957 c.c. di fatto esonerava la banca dal proporre e proseguire diligentemente le proprie istanze nei confronti del debitore e del fideiussore, entro i termini previsti da detta norma.

Pertanto, l’autorità di vigilanza aveva rilevato che una clausola di siffatto genere avrebbe potuto disincentivare la diligenza della banca nel proporre le proprie istanze nonché, conseguentemente, sbilanciare la posizione della banca medesima a svantaggio del garante.

Ciò premesso, considerato che l’art. 2 comma 3 L. 287/1990 sanziona con la nullità “ad ogni effetto” le intese adottate in violazione della normativa anticoncorrenziale si è posto il problema –tuttora oggetto di discussione- di stabilire se un provvedimento di carattere amministrativo, come quello della Banca d’Italia (e dell’AGCM in precedenza) possa in qualche modo inficiare la validità delle fideiussioni stipulate -sulla scorta di tale modello contrattuale- tra il 2003 ed il maggio del 2005.

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha preso una posizione netta, ribadendo la nullità dei contratti (nel nostro caso fideiussioni bancarie) che costituiscono l’applicazione di intese restrittive della concorrenza (il modello ABI 2003) vietate dall’art. 2 della legge Antitrust e specificando –altresì- che tale nullità travolge tutti i contratti in parola anche se stipulati precedentemente all’accertamento dell’intesa anticoncorrenziale, ovvero anche antecedenti al provvedimento della Banca d’Italia del 2 maggio 2005 (v. ordinanza Cass. Civ. n. 29810/2017).

Malgrado l’autorevole precedente della Suprema Corte, tuttavia, la questione rimane ancora aperta, tant’è che la stessa giurisprudenza di merito non ha ancora assunto una posizione chiara e consolidata a questo riguardo.

In particolare, vi è chi ha ritenuto che le fideiussioni stipulate in base al modello ABI 2003 siano nulle in ogni caso (v. Tribunale di Salerno n. 3016/2018; Tribunale di Padova n. 202/2019); vi è, poi, chi ha reputato nulle soltanto le clausole di cui agli artt. 2, 6 e 8 dello schema ABI 2003, senza che la loro invalidità determini automaticamente quella dell’intera fideiussione, dovendosi verificare in concreto se le parti avrebbero egualmente concluso il contratto di fideiussione (Tribunale di Mantova 16 Gennaio 2019. Est. Bernardi; ordinanza Tribunale Rovigo, 09/09/2018); vi è chi, infine, sostiene che la nullità dell’intesa anticoncorrenziale ex Legge n. 287/1990 non travolga affatto il contratto di fideiussione omnibus conforme al modello ABI (Tribunale di Treviso n. 1632/2018).

Occorre segnalare, in ultimo, che vi sono state talune ordinanze le quali -alla stregua di quanto sopra- hanno negato la provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo (Tribunale di Roma 26 luglio 2018) o concesso la sospensione del decreto ingiuntivo opposto (Tribunale Pisa n. 533/2018; Tribunale Padova sez. II, 05/06/2018) ovvero disposto la sospensione dell’esecutività della sentenza di primo grado sino all’esito della decisione in grado di appello (Corte di Appello di Firenze ordinanza del 18 luglio 2018).

Ad ogni buon conto, si ritiene che tale profilo di illegittimità sia applicabile non solo alle fideiussioni in senso stretto ma anche ai contratti autonomi di garanzia.

L’art. 1956 c.c. prevede testualmente che “Il fideiussore per un’obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito. Non è valida la preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione”.

La ratio della norma sopra descritta è quella di evitare che il fideiussore di una fideiussione omnibus possa essere gravato da un’obbligazione a cui difficilmente il debitore potrà adempiere, nell’ipotesi in cui il creditore era ben a conoscenza delle difficoltà economiche del debitore.

Il creditore –infatti- dovrà comportarsi in osservanza dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto e ciò implicherà che l’istituto creditizio dovrà prestare la dovuta attenzione nel concedere nuovo credito e badare anche all’interesse del fideiussore.

Sul punto, si osservi che il concetto di difficoltà economica del creditore non si identifica con lo stato di insolvenza così come inteso ai fini di una procedura fallimentare ma può essere integrato anche da un fondato timore che il debitore non sarà in grado di adempiere, restando comunque necessario che tale situazione di difficoltà sia sorta dopo la stipula della fideiussione.

L’art. 1956 c.c., peraltro, subordina la concessione di nuovo credito -nonostante il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie del debitore principale- al rilascio di una “speciale autorizzazione da parte del fideiussore”.

Alla stregua di quanto sopra, ad esempio, la giurisprudenza di legittimità ha dichiarato la nullità della fideiussione ex art. 1956 c.c. in un caso in cui, dopo cinque anni dal recesso del fideiussore e dopo che il passivo accumulato prima di questa data era stato saldato, la banca aveva continuato e addirittura intensificato la concessione del credito, pretendendo di chiamare il garante a rispondere del saldo passivo del conto al momento della sua chiusura (Cass. Civ. n. 11979/2013).

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha infatti avuto modo di rilevare che “la persistente erogazione di finanziamenti da parte della banca creditrice a favore di una società, debitore principale, senza chiedere al garante (nella specie, né socio, né amministratore della società) la necessaria autorizzazione pur in presenza di un peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie del debitore garantito in ragione delle perdite notevolmente superiori al capitale sociale e di un saldo di conto corrente permanentemente in passivo, costituisce comportamento non improntato al rispetto dei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, idoneo a determinare la liberazione del fideiussore dalle obbligazioni future” (Cass. Civ. n. 16827/2016).

Si è anche chiarito, inoltre, che l’autorizzazione di cui all’art. 1956 c.c. non richiede la forma scritta “ad substantiam” per cui può essere ritenuta implicitamente e tacitamente concessa dal garante qualora emerga la perfetta conoscenza, da parte del garante stesso, della situazione patrimoniale del debitore garantito.

Infatti, sulla base di tale principio si è ritenuta implicita l’autorizzazione del garante nell’ipotesi in cui questi fosse il convivente del debitore o amministratore o socio della società debitrice, atteso che in tali casistiche si presume che il garante conoscesse la situazione di difficoltà economica del debitore principale (Cass. civ. n. 4112/2016; Cass. Civ. n. 16827/2016; Cass. Civ. n. 2911/2016; Cass. Civ. 3761/2006; Cass. Civ. n. 7587/2001; Cass. Civ. n. 12456/1997).

Se però il fideiussore era amministratore o socio della società debitrice all’atto della stipula della garanzia personale ma poi cessi di essere tale, si ritiene necessaria la sua autorizzazione ai fini della concessione di nuovo credito al debitore principale, conseguendone –altrimenti- la liberazione del fideiussore limitatamente al debito maturato in tempi successivi all’alienazione della sua partecipazione, ovvero alla cessazione della carica di amministratore (ABF Napoli n. 801/2011).

Un’ipotesi particolare di applicazione dell’art. 1956 c.c. attiene poi alle fideiussioni stipulate a garanzia dei canoni mensili in un contratto di locazione.

A tal proposito, un importante precedente della giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la concessa fideiussione con cadenza mensile, una volta che si determina la morosità, giustifica l’applicazione dell’articolo 1956 c.c.

Il che vuol dire, pertanto, imporre al locatore di riferire al garante della morosità del conduttore, in modo di farsi autorizzare ad attendere il pagamento e così, sostanzialmente, a fare credito al conduttore con la garanzia del fideiussore.

Tuttavia, la conseguenza di quanto sopra è che -in caso di rifiuto- il locatore dovrà agire per la risoluzione del contratto di locazione e per il rilascio del fondo locato, così da limitare l’esposizione del fideiussore fino al momento in cui il locatore non riesca a locare l’immobile ad altri (Cass. Civ. n. 16798/2015).

Per quanto interessa infine la ripartizione dell’onere della prova, si è ritenuto che il fideiussore, il quale invochi la liberazione dalla garanzia personale ex art. 1956 c.c., dovrà provare ai sensi dell’art. 2697 cod. civ. l’esistenza degli elementi richiesti a tal fine ovvero che, in seguito alla prestazione della fideiussione per obbligazioni future, il creditore abbia fatto credito al terzo senza la sua autorizzazione e nella consapevolezza dell’intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche (Cass. Civ., n. 2524/2006).

Tali aspetti, ad ogni buon conto, potranno essere provati con ogni mezzo consentito dall’ordinamento, ivi compreso il ricorso a presunzioni, secondo le regole generali stabilite dagli artt. 2727 e 2729 c.c. (Cass. Civ. n. 16667/2012).

Dato il carattere imperativo dell’art. 1956 c.c., sancito dall’espresso divieto di cui al 2° comma del predetto dettato normativo, il quale vieta la preventiva rinuncia del fideiussore al rilascio della speciale autorizzazione di cui sopra, si ritiene che tale norma risponda ad un’esigenza generale di protezione del garante e che operi pertanto anche nei contratti autonomi di garanzia e non soltanto nelle fideiussioni (Tribunale di Milano n. 9100/2015).

L’art. 1394 c.c. sancisce che “Il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d’interessi col rappresentato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo”.

In forza del citato dettato normativo, è stata ritenuta annullabile ex art. 1394 c.c., in quanto rilasciata in conflitto di interessi, la fideiussione prestata da una società in favore di una banca per un importo notevolmente superiore al proprio capitale sociale e che era stata sottoscritta per garantire un ingente debito contratto da un’altra società.

Si osservi al proposito che, in tale casistica, le due compagini societarie erano legalmente rappresentate dalla stessa persona.

In particolare, si è affermato che il conflitto di interessi non deve escludersi per la sola circostanza che la società garante abbia sottoscritto il capitale sociale della società garantita, né assume rilevanza il fatto che l’atto di mala gestio compiuto dall’amministratore unico sia stato preventivamente autorizzato da una delibera unanime dei soci.

La giurisprudenza di merito e di legittimità, infatti, ha chiarito che una delibera di siffatto genere è in linea di principio affetta da nullità, rilevabile anche d’ufficio, poiché il compimento di un atto eccedente i limiti dell’oggetto sociale richiede una modifica dello statuto secondo il procedimento previsto dalla legge.

I soci, dunque, non avevano il potere di autorizzare, convalidare o ratificare un atto destabilizzante il capitale sociale in favore di un terzo, in violazione della norma imperativa di cui all’art. 2384-bis c.c. nonché in contrasto con l’utilità sociale e con l’ordine pubblico economico, ovvero di valori entrambi tutelati dall’art. 41 della Costituzione (Tribunale di Ancona n. 259/2016; Cass. Civ. n. 20597/2010).

Il principio di diritto sopra enunciato assume una particolare rilevanza per il fatto che è stato precisato che -qualora lo scopo sociale corrisponda al limite legale delle imprese- l’atto  compiuto dall’amministratore non viola semplicemente il limite convenzionale dei poteri di rappresentanza ma viola altresì disposizioni di leggi imperative (anche di rango costituzionale) e da ciò ne consegue, in definitiva, la nullità dell’atto stesso e la conseguente impossibilità di una sua autorizzazione preventiva o ratifica. 

Resta da chiarire, però, la futura portata di questi concetti, rilevato che la nota riforma societaria del 2003 ha abrogato l’art. 2384 bis c.c. (secondo cui “L’estraneità all’oggetto sociale degli atti compiuti dagli amministratori in nome della società non può essere opposta ai terzi in buona fede”) e quindi è lecito chiedersi se la giurisprudenza successiva a quella invocata insisterà nell’aderire all’orientamento sopra esposto, sulla base dell’art. 41 Cost., o se invece muterà la propria interpretazione.

Ad ogni modo, tali principi, se ancora applicabili, troveranno applicazione sia in riferimento alle fideiussioni che ai contratti autonomi di garanzia, considerato che l’esigenza di evitare conflitti di interesse ex art. 1394 c.c. prescinde dalle caratteristiche e dalle peculiarità delle due anzi dette figure negoziali.

L’art. 1957 c.c. al 1° comma dispone testualmente che “Il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate”.

Si tratta, tuttavia, di un’ipotesi assai rara in quanto la norma è derogabile ed in genere le fideiussioni contratte con gli istituti di credito prevedono sempre una deroga di siffatto genere.

Ad ogni modo, ai fini della presente norma, per interrompere la prescrizione occorre che il creditore agisca in giudizio nei confronti del debitore o del garante entro il termine ivi indicato, non essendo sufficiente una semplice diffida stragiudiziale.

In riferimento ai contratti autonomi di garanzia, tuttavia, la giurisprudenza ha chiarito che quando le parti abbiano convenuto che il pagamento debba avvenire “a prima richiesta”, l’eventuale rinvio pattizio alla previsione della clausola di decadenza, di cui all’art. 1957, comma 1, c.c., dovrà intendersi riferito esclusivamente al termine semestrale indicato dalla predetta disposizione.

In tal caso, pertanto, dovrà ritenersi sufficiente ad evitare la decadenza la semplice proposizione di una richiesta stragiudiziale di pagamento, non essendo necessario che il termine venga osservato mediante la proposizione di una domanda giudiziale, non potendosi altrimenti considerare “a prima richiesta” l’adempimento subordinato all’esercizio di un’azione in giudizio (Cass. Civ. n. 22346/2017).

Come si sottolineava sopra, però, le parti potrebbero concordare di rinunciare ai termini di cui all’art. 1957 c.c., vincolando la durata della fideiussione all’integrale soddisfacimento dell’obbligazione garantita.

Si osservi infine che quando il debitore principale sia stato sottoposto ad una procedura concorsuale il creditore garantito -per evitare di incorrere nella decadenza di cui all’art. 1957 c.c.– dovrà proporre la propria istanza contro il debitore nelle forme dell’insinuazione al passivo (Cass. Civ. n. 18779/2017; Cass. Civ. n. 24296/2017).

L’art. 1957 c.c. sopra esposto non è una norma imperativa ed infatti, come già dedotto, le parti possono derogarvi vincolando la durata della garanzia personale all’integrale adempimento dell’obbligazione principale.

In quest’ultimo caso, tuttavia, occorre chiarire che detta circostanza non implica che il termine di prescrizione del diritto del creditore ad escutere la garanzia non decorra più e che quindi la garanzia divenga imprescrittibile.

La fideiussione infatti – pur se prestata senza limiti di tempo e quindi sottratta al termine di decadenza previsto dall’art. 1957 c.c. – verrà comunque meno in virtù del decorso del termine ordinario di dieci anni ex art. 2946 c.c., decorrente dal momento in cui la garanzia poteva essere fatta valere, nonché in virtù dell’eventuale estinzione dell’obbligazione principale alla quale era accessoria (Tribunale di Arezzo n. 647/2018; Cass. Civ. n. 6520/1996; Cass. Civ. n. 2827/1994).

In particolare, nel caso affrontato dal Tribunale di Arezzo, il contratto di fideiussione prevedeva il termine massimo di dieci anni entro cui la ditta appaltatrice avrebbe dovuto ultimare le opere di urbanizzazione oggetto dei fatti di causa e da tale data –pertanto- veniva fatto decorrere il dies a quo del termine di prescrizione decennale.

Si osservi che anche quanto sopra illustrato vale sia per le fideiussioni che per i contratti autonomi di garanzia.

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Un ulteriore profilo di nullità delle garanzie personali –meno raro di quanto a primo acchito si potrebbe pensare- concerne infine la falsa sottoscrizione dell’atto di garanzia.

Nell’ipotesi in cui si ritenga che il creditore abbia agito sulla base di una fideiussione contenente una firma falsa, infatti, occorrerà proporre, anche in corso di giudizio, istanza di verificazione ex art. 216 c.p.c. o in alternativa querela di falso, contestando l’autenticità della firma.

Dopodiché, verosimilmente il Giudice disporrà una consulenza grafologica, in base alla quale si avrà modo di appurare l’autenticità o meno della firma in questione (v. alcuni precedenti ove è stata accertata la falsità della firma di fidieussioni, Tribunale di Milano n. 6155/2015; Tribunale di Firenze n. 2902/2015; Tribunale di Firenze n. 677/2015; Tribunale di Firenze n. 1034/2015; Tribunale di Firenze n. 1846/2014; Tribunale di Firenze n. 1213/2012; Tribunale di Firenze n. 3807/2011).

Ciò chiarito, un’ulteriore ipotesi da non confondere con quella della firma apocrifa della fideiussione concerne poi il caso di abusivo riempimento del foglio in bianco ovvero quando -anziché disconoscere di aver firmato l’atto di fideiussione- si contesti l’aggiunta non autorizzata di ulteriori dati sull’atto di fideiussione.

A quest’ultimo proposito, occorre distinguere due diverse ipotesi:

1) quella nella quale colui che ha sottoscritto il documento in bianco si era accordato con un altro soggetto per il successivo riempimento del foglio e, dopo il completamento del foglio stesso, il sottoscrittore si era accorto che il contenuto del documento era difforme da quando convenuto;

2) quella nella quale colui che ha sottoscritto il documento in bianco trova il medesimo documento riempito e completato, senza che fosse mai intercorso nessun accordo in relazione al completamento del documento o al contenuto dello stesso.

Sul punto, la più recente giurisprudenza di legittimità ritiene che la querela di falso sia necessaria solo nel secondo caso, mentre in ipotesi di abusivo riempimento del foglio in bianco contra pacta, occorrerà fornire la prova del diverso accordo tra le parti rispetto a quanto poi effettivamente eseguito dal creditore (Cass. Civ. n. 899/2018; Cass. Civ. n. 10259/2015).

Anche quanto sopra esposto interessa, ovviamente, sia le fideiussioni che i contratti autonomi di garanzia.

* * *

Laddove il garante non abbia modo di far valere nessuno dei profili di illegittimità sopra descritti, non è detto che questi non abbia ancora una carta da giocare nel tentativo –quantomeno- di ridurre considerevolmente il debito derivante dall’obbligazione del debitore garantito.

La legge n. 3/2012 ha infatti introdotto la possibilità -riservata a chi si trovi in stato di sovraindebitamento, ovvero in una situazione di grave squilibrio tra la propria esposizione debitoria ed il proprio patrimonio/reddito- di presentare, presso il Tribunale competente e con l’ausilio di professionisti, un piano di ristrutturazione dei debiti che potrà prevedere lo stralcio del debito e la rateazione del residuo.

Affinché detto piano di ristrutturazione venga approvato, se il debitore riveste la qualifica di consumatore, sarà sufficiente che esso venga omologato e reso esecutivo dal Giudice con una propria autonoma decisione, anche a prescindere dal mancato consenso dei creditori del soggetto sovraindebitato.

Altrimenti, se il debitore non è consumatore, sarà indispensabile il consenso dei creditori che rappresentino almeno il sessanta per cento dell’esposizione debitoria complessiva.

Da quanto sopra, sembrerebbe che il garante possa avere accesso soltanto alla seconda delle procedure sopra descritte, vale a dire a quella che richiede il consenso dei creditori che rappresentino almeno il sessanta per cento del credito, atteso che la prima procedura richiede che egli rivesta la qualifica di consumatore.

Sul punto, infatti, l’art. 6 comma 2 lett. b) della L. n. 3/2012 precisa che per “consumatore” deve intendersi il debitore persona fisica che abbia assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta e tale qualifica, in effetti, non sembrerebbe compatibile con il ruolo dell’amministratore o del socio che abbiano prestato fideiussione a copertura delle obbligazioni societarie.

Al riguardo, si è pronunciata la giurisprudenza di legittimità, la quale ha sancito che per qualificare come “consumatore” la persona fisica che intenda accedere alla procedura di cui alla legge n. 3/2012 bisogna considerare le esigenze personali o familiari, o della più ampia sfera attinente agli impegni derivanti dall’estrinsecazione della propria personalità sociale, “anche a favore di terzi, ma senza riflessi in un’attività d’impresa o professionale propria” (Cass. Civ. n. 1869/2016; a cui ha fatto seguito Tribunale di Padova 27 giugno 2018).

In buona sostanza, la Suprema Corte sembra aprire alla procedura del consumatore anche per quei debiti derivanti da impegni presi a favore di terzi, quali garanzie o fideiussioni, purché gli stessi non abbiano riflessi in una propria attività d’impresa.

Aderendo a tale orientamento, quando la fideiussione è rilasciata da un parente o da un amico dell’imprenditore parrebbe potersi qualificare quest’ultimo come consumatore, con l’effetto di poter attivare la più agevole procedura di sovraindebitamento riservata a tale categoria.

Dunque, qualora tale recente principio di diritto dovesse continuare a trovare seguito in giurisprudenza, si profilerebbe una possibilità molto interessante anche per tutti i fideiussori che si trovino inguaiati in conseguenza dell’inadempimento altrui, a condizione che essi non abbiano rilasciato fideiussioni per un’attività d’impresa o professionale propria.

Anche i fideiussori per attività proprie, ad ogni modo, potranno comunque attivare la seconda delle procedure sopra illustrate che però, come si è visto, necessita del consenso dei creditori rappresentanti il sessanta per cento dell’esposizione debitoria complessiva.

In entrambe le procedure di sovraindebitamento sopra menzionate, peraltro, è importante sottolineare che il Giudice adito, generalmente, sospende tutte le eventuali esecuzioni in corso sino al termine dell’intera procedura (si pensi ad es. al pignoramento della casa del debitore).

* * *

Al fine di chiarire la fitta rete di concetti sopra illustrati, si riportano infine i seguenti schemi, riassuntivi delle differenze tra fideiussioni e garanzie atipiche e dei vari profili di illegittimità delle stesse:

LE DIFFERENZE TRA FIDEIUSSIONI E GARANZIE ATIPICHE

1) Accessorietà o non accessorietà della garanzia personale al rapporto principale
Nella fideiussione vi è un accentuato rapporto di accessorietà tra l’obbligazione di garanzia e quella principale, al contrario del contratto autonomo di garanzia.
Ciò implica che nella fideiussione il fideiussore potrà contestare ogni eventuale profilo di illiceità dell’obbligazione principale, mentre il garante potrà farlo solo nelle seguenti ipotesi:
A) in caso di exceptio doli generalis seu presentis, cioè quando vi è evidenza certa del venir meno del debito garantito per pregressa estinzione dell’obbligazione principale, per adempimento della stessa o per altra causale, o in caso di dolo o mala fede o abuso manifesto da parte del creditore;
B) in caso di inesistenza o nullità del contratto-base per contrarietà a norme imperative o per l’illiceità della causa, dell’oggetto o del motivo comune ad entrambe le parti
2) Diversa funzione delle due figure negoziali
La fideiussione ha la funzione di garantire l’adempimento della medesima obbligazione principale altrui, tutelando l’interesse all’esatto adempimento della relativa prestazione.
Il contratto autonomo di garanzia, al contrario, persegue lo scopo di tenere indenne il creditore dalle conseguenze del mancato adempimento della prestazione gravante sul debitore principale, avendo come causa concreta quella di trasferire, da un soggetto ad un altro, il rischio economico connesso alla mancata esecuzione.  
3) Diverso oggetto della prestazione di garanzia rispetto a quella dell’obbligazione principale
Nella fideiussione, l’oggetto della prestazione è identico a quello dell’obbligazione garantita e il creditore potrà richiedere al fideiussore soltanto l’esatto adempimento dell’obbligazione garantita.
Nel contratto autonomo di garanzia, invece, il garante si obbliga a tenere indenne il creditore nell’eventualità della mancata prestazione del garantito e pertanto l’oggetto della prestazione che dovrà fornire il garante sarà rappresentato dal ristoro delle conseguenze dell’inadempimento del debitore garantito. 
4) Presenza della clausola di pagamento a prima richiesta e senza eccezioni
A volte le due figure negoziali appaiono in tutto e per tutto identiche.
In tali casistiche, la giurisprudenza ha ritenuto fondamentale – ai fini di qualificare il rapporto come garanzia atipica- la presenza contemporanea della c.d. “clausola a prima richiesta” e della clausola c.d. “senza eccezioni”, ovvero di quelle clausole che consentono al creditore di richiedere l’adempimento dell’obbligazione direttamente al garante con una semplice richiesta scritta e senza che quest’ultimo possa opporre eccezioni in ordine al rapporto giuridico principale 

PROFILI DI ILLEGITTIMITÀ DELLE GARANZIE PERSONALI

1) Illeciti bancari inerenti il rapporto principale nelle garanzie personali
Il fideiussore può sollevare tutte le eccezioni spettanti al debitore principale, salva quella derivante dall’incapacità, quindi anche quelle inerenti anomalie sui rapporti bancari.
Il garante autonomo, invece, potrà contestare le stesse solo quando siano in violazione di norme imperative, come nel caso degli interessi usurari.
E’ invece discusso in giurisprudenza se questi possa contestare anche l’anatocismo.  
2) Nullità della fideiussione omnibus senza indicazione dell’importo massimo garantito
L’art. 1938 c.c. prevede che “La fideiussione può essere prestata anche per un’obbligazione condizionale o futura con la previsione, in quest’ultimo caso, dell’importo massimo garantito”.
Senza indicazione dell’importo massimo garantito, la fideiussione per obbligazioni future è nulla. 
3) Nullità della fideiussione redatta su moduli ABI del 2003
Una parte della giurisprudenza ha ritenuto nulle le fideiussioni stipulate in base al modello ABI 2003 in quanto l’AGCM prima, e la Banca d’Italia poi, hanno ritenuto contrarie alla normativa antitrust ex Legge n. 287/1990 alcune clausole di tale modello contrattuale.
4) Nullità della garanzia personale per mala fede del creditore che aggrava la situazione personale del debitore
L’art. 1956 c.c. prevede che “Il fideiussore per un’obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito”.  
5) Annullabilità per conflitto di interessi ex art. 1394 c.c.
E’ annullabile la garanzia personale rilasciata dalla società in favore di un’altra dello stesso gruppo, il cui amministratore era anche amministratore della società garantita.
 
6) Decadenza della garanzia personale per decorso del termine ex art. 1957 c.c.
L’art. 1957 c.c. al 1° comma dispone che “Il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale, purché il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate.
Per interrompere tale termine, non basta una diffida ma occorre un’azione giudiziale. 
7) Prescrizione della garanzia personale
In ogni caso, le garanzie personali sono soggette al termine di prescrizione ordinario di dieci anni ex art. 2946 c.c., decorrente dal momento in cui la garanzia poteva essere fatta valere. 
8) Nullità per falsa sottoscrizione della garanzia
La garanzia personale è nulla anche per effetto della falsa sottoscrizione dell’atto di garanzia. Una CTU grafologica potrà appurare l’eventuale autenticità o meno della stessa. 

 

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